Sono le dieci di sera, stiamo aspettando di allacciarci alle altre motonavi per attraccare a Kom Ombo. Una fitta nube di inquinamento ci impedisce di respirare, sostiamo ancora venti minuti, alcuni si proteggono con la mascherina chirurgica su consiglio della nostra guida. E’il secondo giorno di festa di Eid Ramadan, le caotiche strade della città sono stracolme di abitanti in galabeya, i barsport celebrano il semidio calcistico Salah, nelle “sale da matrimonio” si fuma shisha, i fast food traboccano di avventori affamati, finalmente la purificazione del Ramadan è terminata. Nessuno di loro sembra faticare a inspirare ciò chi mi sta cucinando i polmoni. Il grado di inquinamento sembra rientrare nel margine di un’orripilante consuetudine.


Situazione che si somma alle circostanze di questa mattina, ad Edfu. Sei del mattino, mente confusa, raggiungiamo il grande tempio tramite delle carrozze. Noi siamo trainati dal cavallo Rambo, uno dei pochi destrieri che non mostra sofferenti costole in rilievo, che non zoppica, addirittura corre in corsia di sorpasso attraverso la sfasciata città di Edfu. Il nostro cocchiere è molto orgoglioso di lui, si vanta quasi di fronte ai colleghi, sono tutti ragazzi giovani che cercano di campare con questa attività, alcuni nutrendo il proprio cavallo, altri dimenticandosene, forse è per quello che certi si sono fermati in corsa dalla fatica. Sono questi i leggendari cavalli arabi?
Un tempo il tratto di corso d’acqua che collegava Edfu e Kom Ombo era particolarmente strategico. Risalendo dalla Nubia, gli Egizi, poi i Tolomei e i Romani, si assicuravano attraverso questo tratto l’approvvigionamento di oro e altri metalli preziosi. Ad Edfu gli Egizi eressero un colossale tempio in onore di Horus, il dio falco, durante l’era dell’Antico Egitto. Poi intervennero i Tolomei, gli stessi che a Kom Ombo eressero un altro tempio in onore di Sobek, il dio coccodrillo. Antesignana della fabbrica del consenso, la dinastia ellenistica dei Tolomei mantenne astutamente i soggetti di culto egizi, adoperandosi affinché il pantheon di entrambi i culti pagani potesse gradualmente diventare sincretico, favorendo l’assimilazione politica. Edfu e Kom Ombo sono il simbolo di questa istanza.

Mentre la nostra guida si sofferma a sottolineare come la tecnica di raffigurazione egizia fosse molto più raffinata, io noto che le posteriori incisioni di matrice ellenistica già si distinguevano per la propensione alla riproduzione prospettica degli arti, del corpo, della plasticità della figura, caratteristiche accentuate dalle luci in chiaroscuro della nostra visita notturna a Kom Ombo. Meno poetica è la nostra visita al museo dei coccodrilli del posto, imbalsamati in bella mostra di fronte a noi. Ci arriviamo dopo aver annaspato tra venditori di palloncini, patatine in sacchetto, rollerblades, bimbi che addentano o vendono zucchero filato, casse roboanti di musica da luna park.

In realtà saremmo dovuti arrivare qui nel pomeriggio, ma il traffico del Nilo c’ha rallentato. Ieri sera abbiamo sostato un paio d’ore ad Esna. Sul ponte stavamo noi tre e molti greci chiacchieroni, signori della notte, per assistere alla magia infrastrutturale della famosa chiusa. Dopo una lunga coda di motonavi, anche noi vincevamo il dislivello del Nilo, trasportati di 7 m all’insù, e potevamo finalmente procedere sul tratto successivo del magnifico corso d’acqua.


Scendendo verso sud, stiamo appunto procedendo verso l’Alto Nilo, laddove il livello dell’acqua è più elevato, in direzione del lago Nasser. Spero che galleggeremo ancora per molto. Come degli intrusi curiosiamo dalla nostra motonave verso entrambe le rive del Nilo. Mi sono pure portata un binocolo. Siamo dei semplici spettatori di un palco, dove in lenta successione si materializza la scena. Sulla riva destra sorgono gli appezzamenti agricoli, mi piace pensare che siano rimasti immutati rispetto all’era dei faraoni, almeno così sembra, fino a quando non si “intromettono” gli attori: bambini che giocano a calcio, che si sciacquano sul fiume, famiglie che sparano la musica a tutto volume in alcuni chioschi, molti di loro sono felici di salutarci con la mano, sorridono, a volte ridono. Forse siamo anche noi parte della scena, pur sentendoci avulsi e colpevoli, in virtù della barriera che separa noi e loro. Una barriera costante, impersonata dalla nostra banchina e dall’onnipresente polizia di sicurezza che ci sorveglia, controllando ogni nostro passo, per impedire che la popolazione autoctona possa accedere al nostro universo surreale, un incantesimo sull’acqua. Chissà cosa pensano di noi. La polizia forse ci detesta. In fondo siamo frivoli occidentali imbevuti di orientalismo, deboli, pallidi, ignari della realtà. Ma siamo turisti, contiamo per il 12% del Pil del Paese, Al Sisi ha ordinato ai suoi uomini di difenderci, che loro piaccia o no. Ma invece, cosa penseranno di noi, i comuni abitanti del Nilo? Noi riteniamo facilmente di essere più fortunati, ma loro? Non vi è alcuna sensazione più speciale che quella di incrociare, anche solo per un istante, lo sguardo di un paio di ragazzi sulle rive. In quel momento credo che noi tutti diventiamo attori della stessa scena, eguali esseri umani, riportati a un semplice stato primigenio, interrogandoci in fondo sulla stessa domanda: “e tu, chi sei?”


Così noi fluttuiamo lentamente verso sud, tra la meraviglia, lo stupore, la suggestione per ciò che vediamo. Coccolati dall’atmosfera africana, sognando un passato luminoso e ripercorrendo le tracce di precedenti esploratori, aspettiamo l’imbrunire per scorgerne i colori, ci lamentiamo per le zanzare, ritroviamo il respiro nella frescura serale. Poi, sorseggiando l’ultima goccia di ibisco, volgiamo lo sguardo verso la riva sinistra del Nilo. E lì, in lontananza, si stende un piatto paesaggio lunare, il deserto. Così diverso dalla fertile riva destra. E in quelle sabbie silenti ogni quesito sulle sorti dei protagonisti di questo palco, che sono le vite sul Nilo, si fonde nella rassicurante incertezza dell’eternità, dove tutti siamo uguali, facendo ritorno, chi prima, chi dopo, alla dimensione circolare della Natura e del Caos.
E così ricorderò il potere evocativo del Nilo, nella sua primordialità.
Rifletto su questo, risalita a prua dopo aver lasciato la frenesia dell’Eid di Kom Ombo, le sue tavole imbandite di avventori che si abbuffavamo festosi, divisi tra uomini e donne. Sembravamo quattro fuggiaschi impauriti in mezzo alla folla del villaggio, poco prima. Mi sentivo fuori posto. Ora l’idea della cabina polverosa e stretta suona quasi rassicurante, anche se mi addormento la sera poco sopra il motore. Domattina raggiungeremo Assuan, il nostro punto di arrivo, e il nostro onirico fluttuare sul Nilo sarà finito..