Nel covo recondito del Montenegro

Sono sulle Bocche di Cattaro, in cima ad un’altura scoscesa che mi consente di dominarle notandone le varie insenature, il panorama è mozzafiato. Questo specchio d’acqua, riparato e protetto da una serie di fiordi che risalgono nell’entroterra, è stato per secoli base navale-militare inespugnabile della Serenissima di Venezia, poi dell’Impero austro-ungarico. Da qui i Veneziani attaccavano i corsari dell’Adriatico e si riorganizzavano per sferrare sferzanti agguati o controffensive ai Turchi Ottomani di stanza a Herzeg Novi. A volte si alleavano pure con l’esercito del Sultano per combattere il comune nemico indigeno montenegrino, come quella volta che Scepan Mali, spacciatosi per lo zar Pietro III, riuscì a sconfiggere proprio a Cattaro l’asse veneto-ottomano nel 1770. I Veneziani se ne andarono poco dopo quell’anno, nel 1797, col Trattato di Campoformio, lasciando in eredità lingua, cultura e la magnifica architettura degli antichi avamposti d’oltremare sulla costa adriatica. Oggi il Montenegro vanta località chic come Budva, Perasto, Tivat, gioielli architettonici come Castelnovo, Cattaro, Bar, Scutari. Tuttavia, pur essendo io figlia della Serenissima, so il vero motivo che mi ha portato a visitare questo paese.

Nel covo recondito del Montenegro

E ‘stata colpa di Carlo Yriarte e del suo diario di viaggio “Montenegro”, dove descrisse i montenegrini come un popolo indomito, guerresco, fiero. Mi incuriosii. Costui visitò i Balcani nell’Ottocento, percorrendo le faglie della Dalmazia e giungendo nella roccaforte solo de facto indipendente dei montenegrini, a Cettigne, soggetta alle frequenti incursioni degli ottomani. Lì aveva sede presso il palazzo della Biljarda il vladika, capo temporale e spirituale che non riconosceva né l’autorità del Patriarca di Costantinopoli né del Sinodo di Mosca, un vero outsider. Solo con il vladika Danilo I, nel 1852, prese avvio una dinastia di primogenitura laica, e nel 1878, al Congresso di Berlino, Nicola I principe di Montenegro ottenne finalmente l’indipendenza de jure al tavolo delle potenze europee, di certo grazie anche al fermo endorsement dell’impero russo, ebbro di velleità panslaviste. La ragione del mio interesse per Cettigne, città dimenticata da tutte le guide turistiche e caduta nell’oblio da quando la grigia Podgorica è diventata la nuova capitale, inizia proprio qui.

Per arrivarci, dicevo, lascio di buon’ora la vista delle Bocche di Cattaro e inizio a risalire l’entroterra montenegrino attraverso il precipizio della serpentine, una delle strade più pericolose d’Europa secondo Google. Nell’hinterland del paese imperversano solo lunghe distese di praterie verdi, sparuti villaggi di legno e fattorie dove si produce il fantomatico pršut, vanto culinario montenegrino. Mi avvicino a una di queste, vengo intimidita da uno sciame incattivito di galline dominatrici. Uno scenario molto differente dal Montenegro costiero, ricercato, opulento, ma devo dire che questo cambio di registro in soli 40 km mi piace.

Poi approdo a Cettigne, di fatto un grande villaggio placido e silenzioso dove ancora ha sede la residenza del Presidente del Montenegro. La mia skoda a noleggio si addentra nei viali ortogonali della città, scorgendo qua e là diffusi cartelloni indicanti opere pubbliche locali a finanziamento cinese, sono addirittura in doppia lingua. Non è certo ignoto che il Montenegro sia oggi terra di investimento di fondi russi, cinesi, turchi, europei. Chi la spunterà? Chi riuscirà a stabilire una completa influenza? Chi lo sa, forse nessuno. Per ora il Montenegro è entrato nel 2017 a far parte della Nato, con una chiara presa di posizione, dal punto di vista muscolare. Inoltre, dal 2010 gli è stato conferito lo status di paese candidato all’adesione UE dal 2010, a soli quattro anni dalla secessione dallo stato di Serbia e Montenegro. Quale urgenza! Ma per chi? Per l’Unione? O per il Montenegro, stretto dalla brama di inscenare questo irresistibile equilibrismo tra grandi potenze e dal desiderio di sganciarsi da un vicino goloso? Solo a Cettigne ne avrei capito qualcosa.

Nel covo recondito del Montenegro

La storia identitaria del Montenegro odierno nasce qui. Nessuno parla inglese, al massimo si parla un po’ di italiano o russo. Mi siedo per dei cevapcici fumanti e una birra Niksicko alla locanda Crna Gora. Riesco a leggere il menù solo grazie a un ragazzo di Podgorica che ordina anche a mio titolo. Sono i migliori che ho provato nel paese, svolgo un accurato controllo qualità di queste polpette in ogni locale in cui scelgo di fermarmi. Cerco di dirigermi più tardi verso il centro città e mi imbatto in lunghi murales rosso intenso inneggianti agli ottant’anni (1941-2021) dell’Ustanka (rivoluzione), quando i partigiani comunisti montenegrini si ribellarono alle forze cetniche e all’occupazione italiana fascista. I comunisti, forti dell’appoggio britannico, avrebbero poi caratterizzato l’establishment montenegrino del dopoguerra in quella forma di socialismo reale balcanico, multinazionale e non allineato che definì la nuova Jugoslavia. Tale progetto del carismatico maresciallo Josif Broz Tito, catalizzatore di consensi, sembrò funzionare a gonfie vele. Tuttavia resse ragionevolmente solo fino al 1980, anno della sua morte, dopo la quale si ripiombò nel pelago dei regionalismi.  Orfano della forza unificatrice del leader, in Montenegro rifluì quel revanscismo identitario magnificato dai simboli che si incontrano proprio a Cettigne, sede dell’iconica Biljarda, delle ambasciate straniere e del palazzo reale di fondazione tardo ottocentesca. Di fatto Cettigne era il simbolo di un Montenegro che a fine ottocento si era duramente conquistato l’indipendenza a dispetto dell’interferenza dei paesi vicini, in un’epoca in cui anche la Grande Serbia divenne indipendente dall’Impero Ottomano e poco più tardi l’impero austro-ungarico procedette all’annessione della Bosnia Ezegovina. In breve, i montenegrini probabilmente credevano di poter vantare una certa dignità nella famiglia dei piccoli staterelli che a poco a poco stavano emergendo dallo sgretolamento dei grandi imperi multinazionali, sviluppando contestualmente una coscienza nazionale che li avrebbe portati ad essere un valido interlocutore nel panorama internazionale. E’facile intuirlo nel viale delle vecchie sedi diplomatiche (russa, inglese, francese, turca, italiana), le cui raffinate strutture belle epoque rievocano l’allure cittadino che probabilmente si respirava al tempo. Nicola I di Montenegro venne infatti definito il “suocero d’Europa”, proprio perché cinque delle sue figlie vennero date in sposa a principi e sovrani europei, Romanov in testa. Ottimo strumento di diplomazia, evviva il capitale umano.

Ed è qui che entra in gioco l’Italia, quando al Palazzo Reale di Cettigne, sostanzialmente un cottage di respiro più regale, accedo alla stanza di Elena del Montenegro, ex sovrana del Regno d’Italia, consorte di Vittorio Emanuele III.

Proprio nella sua stanza faccio la conoscenza della Direttrice del Museo, una signora anziana con carrè, frangetta nera e adorabili occhi blu, molto cortese ed entusiasta. Conosce perfettamente il russo e decidiamo di comunicare in questa lingua, scoprendo di condividere una venerazione per la Regina Madre Maria Fedorovna Romanova, di cui il Palazzo ripropone il ritratto in svariate stanze. E’però quando rivelo di essere italiana che i suoi occhi si illuminano.

“Sa signorina, questa è una sorta di Casa Italia! La nostra principessa Elena ha fatto così tanto per il vostro paese, che amiamo! A Bari c’è pure il busto del padre, il sovrano Nicola I, lo chiamavano zi’ Nicolè. Fino a quando quegli scellerati lo cacciarono in esilio ad Antibes, nella guerra 15-18. Non tornò mai, portando con sé il tramonto del sogno di indipendenza montenegrina”.

“Beh” commento “cosa ne pensa di quello che accadde dopo? In fondo Mr Woodrow Wilson fu molto creativo nell’inventare la Jugoslavia alla conferenza di Versailles”.

“L’annessione alla Jugoslavia fu un duro colpo per tutti noi. I montenegrini non furono nemmeno invitati alla Conferenza e ci costrinsero ad obbedire alla corona di quel serbo, Sua Maestà Karadordevic, un despota. A loro importava solo che la Grande Serbia dominasse i balcani. Solo gli italiani in quel tempo provarono ad aiutarci favorendo lo sbarco di circa 120 ufficiali indipendentisti. Ma non funzionò, e piombammo in una guerra civile a bassa intensità che durò fino al 1924”.

“E che ruolo ebbe la Regina Elena, ammesso che ne abbia giocato qualcuno?”

“L’ha vista l’Ambasciata Italiana di Cettigne? Noi tutti montenegrini siamo grati a quell’edificio. Quando nel 41 gli italiani invasero la Jugoslavia li accogliemmo a braccia aperte, li guardammo come i liberatori. Stabilimmo assieme il Consiglio Montenegrino e finalmente riuscimmo a riappropriarci della nostra identità, il Regno Montenegrino era ricreato e in unione personale con il Regno d’Italia”.

“Ma come, di fatto non era questa un’occupazione?”

“Certo, ma gli anni del 41-44 furono gli unici anni di intensa montenegrinizzazione dei serbi nel nostro territorio”

“Che parola paurosa!

“Lei dice. Io credo invece che tutto sarebbe proceduto per il meglio se a guidarci sarebbero stati sempre gli italiani e i cetnici. Il peggio venne dopo l’8 settembre, quando solo i nazisti rimasero in Jugoslavia e iniziò la guerra aperta e feroce tra i tedeschi e i partigiani comunisti di Tito, supportati dagli Alleati.”

“Avevo sempre creduto che il progetto jugoslavo fosse stato ritenuto vincente dai popoli balcanici”.

“La Repubblica Socialista di Montenegro è stata un capitolo della nostra Storia, forse necessaria. Tuttavia il rispetto che il nostro principato montenegrino si era orgogliosamente conquistato nell’età d’oro di Nicola I, la posizioni di prestigio che il nostro paese poteva vantare all’interno della famiglia delle nazioni europee..presto fu tutto perduto nel nome del socialismo e obnubilato dal dilagante nazionalismo serbo.”

“Ancora con questi serbi!”

“Pensi, cara, fino al 2006 ci chiamavamo ancora Serbia e Montenegro. Solo nelle mani di quel Dukanovic, un bell’uomo eh..per intenderci! Molto alto, come tutti i montenegrini, ma un vero intrallazzato.. Dicevo! solo grazie a lui siamo riusciti ad ottenere l’indipendenza tramite referendum. Ora è tutto da scrivere, siamo uno stato piccolo, pacifico, privo di risorse, ma le assicuro, così bello. E mi creda, non dimenticheremo mai quello che l’Italia ha fatto per noi.”

Io continuo a serbare le mie perplessità. Ma conviene sovrapporre la mia sovrastruttura a fatti che successero ottant’anni fa? Chi lo sa. In fondo comunque questa è l’opinione di una cara signora. Però, che storia.

“Mi saluti il Bel Paese cara signorina, e si ricordi di raccontare le storie del Montenegro ai nostri amici italiani!”

E da Cettigne, Montenegro, è tutto, dettagli di inaspettata microstoria italiana inclusi. Luogo che cela sotto un velo di Maya pacifista un fermo orgoglio identitario ed indipendente, proprio come è sempre accaduto nel corso della sua storia contemporanea. Piccolo e determinato si affaccia ancora una volta alla famiglia delle nazioni, non più solo europee, ma globali. Rimarrà solo una meta turistica di pregio e sofisticatezza? Che succederà? Oggi il paese ha una quindicina d’anni e a sua storia è giovane, ancora tutta da scrivere.

Ćao! 

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