Tra le sabbie tunisine e il porto della Goletta

Notte agostana, piedi sulla sabbia, la voce dei Bossa Nova si fonde con il fruscio delle tende boho. Ho appena terminato un semplice piatto di pesce alla griglia e risotto al parmigiano (?), sono al Cheeky Monkey, una guest house indubbiamente chic nella zona di Raf Raf, conosciuta anche como Porto Farina, accanto a Biserta. Soggiorniamo tra mare e laguna, quindi al tramonto posso volgermi verso la Sicilia o l’entroterra lagunare tunisino, dove i più profani sorseggiano del pastis. Antico avamporto fenicio, terra di Catone di Utica, poi covo di corsari e luogo di accoglienza di moriscos in fuga, siamo giunti nell’indisturbato nord della Tunisia principalmente per visitare Biserta. Questa regione di ulivi, innumerevoli pannocchie arrostite a bordo strada, generosi frutteti e coltivazioni di sussistenza, sbocca proprio nel grande porto tunisino che tanto era stato strategico nella seconda guerra mondiale, a seguito dello sbarco alleato del 42 in Nord Africa, tramite la celebre Operazione Torch. Biserta era stata il centro di approvvigionamento principale per il contingente nazista, che da qui si riorganizzò per arroccarsi a Tunisi e fortificare le proprie posizioni. Oggi la città è pressoché uno stock di container commerciali, con un piccolo centro colorato che ricorda vaghi paesaggi buranesi.

Tra le sabbie tunisine e il porto della Goletta

Tuttavia, l’intera regione riserva molto di più. Tra laguna e mare spuntano alcune isolette raggiungibili via gommone, dove gli avventori consumano pesce fritto e gommosi spaghetti su simpatiche palafitte, sennò sotto capanni pagliosi, seduti, sempre su sedie di plastica, con un tavolo a fianco, per riporre i propri spuntini, tè e quant’altro. Volendo iniziare a categorizzare, i tunisini al mare si suddividono in due tipologie: o se ne stanno completamente vestiti, riuniti in famiglia, più o meno lontani dall’acqua cristallina, a chiacchierare a bassa voce sotto i loro ombrelloni o capanni poc’anzi descritti; o, quantomeno qui nel nord, i tunisini di adozione francese che tornano per le vacanze estive, si allungano su comode chaise longue, sorseggiando alcol, conversando sia in arabo che francese, vestendo all’ottima moda cosmopolita, e azzardando costumi interi e bikini. Questo è il primo approccio con la netta suddivisione delle “classi sociali” tunisine, di cui credo vorrò sapere di più.

Intanto.. “sapete, io a mio figlio Adam dico sempre che è cittadino del mondo!”. Stiamo aspettando il tramonto, ed eccolo qui, sbucare con la sua graziosa famiglia, il prototipo di tunisino nato a Parigi, imbottito di luoghi comuni, che inizia a pontificare sulle soluzioni utili per risolvere le questioni migratorie tra Nord Africa e Europa, dichiarandosi addolorato per il nostro attuale premier, sicuro di stare invece “dalla parte giusta”. Rendendo sensazionale l’ordinaria notizia di essere un lettore de Le Monde Diplomatique, ritiene di attingere a solide fonti per decidere cosa è giusto e sbagliato, criticando l’attuale Presidente Kais Saied, la retorica antiaraba che sta prendendo piede in Francia, ironizzando sull’inabilità di Europa e Tunisia di trovare una sintesi fruttuosa per la lotta alla povertà e le sfide comuni. Poi aggiunge:”beh, io in Tunisia..ci torno per le vacanze”! E completa :“lavoro per un think thank che si appoggia al Fondo Monetario Internazionale”. Un grande classico sparare a zero sull’impotenza degli Stati sovrani, dondolandosi su un’amaca all’ora dell’aperitivo nel paese dei progenitori, affranto dalle criticità locali, per poi rivelare che in realtà “credi” di lavorare per la Regina delle Istituzioni di Bretton Woods. Per fortuna, sua moglie, di origine marocchina, sdrammatizza: “noi marocchini viviamo in una monarchia, non ci importa della politica, della democrazia, quelle cose, la rivoluzione, se così si può considerare quella del 2011, l’hanno fatta i tunisini. In Marocco i giovani si preoccupano solo di laurearsi in economia, finanza, sai.. materie STEM! Tutto ciò accade per trovare il migliore impiego, augurandosi di raggiungere lo status symbol, ai marocchini piacciono la bella vita, le macchine lussuose.. l’élite tunisina è molto più colta! Si occupa di politica, studia materie umanistiche, accende il dibattito, è disposta a scendere in piazza. Gli europei vedono i Paesi del Maghreb come un blocco unico, ma siamo così diversi gli uni dagli altri!”

Faccio un errore madornale e azzardo “Beh.. a prima vista la vostra cucina almeno mi sembra simile, che dire, il cous cous è di casa?” Entrambi sussultano “Assolutamente no! In Marocco la cucina è agrodolce, abbonda di frutta secca, agnello. In Tunisia tutto è troppo dolce o troppo piccante, lo capirai trovando harissa e mechouia ovunque nei prossimi giorni, ecco perché spegniamo le nostre fauci incendiate con abbondanti dosi di yogurt, in più il cibo è pressoché a base di pesce sulla costa, selvaggina nell’entroterra desertico. Per non parlare del tajine, in Marocco è uno stufato, qui in Tunisia una sorta di tortilla spagnola.” Mi scuso, forse in quelle 48 h non ci avevo capito un granché.

Erano entusiasti, comunque, di sapere che l’indomani avremmo cenato al porto della Golette, “pesce in abbondanza, di tutti i tipi, la migliore fornitura della Tunisia! Potete scegliere ciò che preferite come in pescheria, e poi la tavola è imbandita: bollito, griglia, fritto, crudo, in Francia si sognano cose del genere!”

Tra le sabbie tunisine e il porto della Goletta

10 agosto
E’ gia ora di lasciare il Cheeky, quasi siamo entrati in famiglia, più che altro ci sembra di lasciare una comune. Il cane, la figlia della proprietaria dai riccioli d’oro, piccolina di cinque anni, già si è affezionata a noi e ci chiede “pour quoi allez a Tunis?”. A momenti nessuno si ricorda di farci saldare il soggiorno. Il timore è che questo eden tra mare e laguna sia stato l’ultimo agio prima del viaggio verso le Colonne d’Ercole. Ci rimettiamo in viaggio. Dobbiamo riscendere verso Tunisi, costeggiando il Mediterraneo, e arrivare per cena al vecchio porto, la Golette appunto. Dopo un po’ di esitazione scegliamo di fare la strada normale, per vedere l’entroterra. Dopo un’ora di colonna finalmente imbocchiamo la nostra deviazione. E’già sera, ci inoltriamo nella simil strada provinciale che congiunge i due maggiori centri abitati di Kelat el Andaluus e Raoued. In mezzo, quasi il nulla, una distesa brulla e uniforme, i lampioni stradali spenti, poi una rotonda, un fuori strada fermato da controlli di ruotine della polizia militare, che ogni tanto ispeziona a random qualcuno in entrata e uscita dai nuclei abitati. Niente di minaccioso. Abbasso il finestrino per poggiare fuori il braccio, mi piace scavare nel vento estivo per sentirne il profumo, il velluto, ma i cumuli di immondizie annullano quello che mi aspetto di reincontrare, l’amato aroma della macchia mediterranea. La spazzatura è ovunque, indisturbata, dentro e vicino al mare, accanto o sulle coltivazioni, avvelena la magia della splendida natura tunisina. Come degli intrusi, capitiamo in villaggi, o meglio, in inurbamenti costruiti ai lati delle strade o attorno a delle rotonde, notando case iniziate e mai finite, donne completamente coperte con in braccio e a seguito bambini, bar per soli uomini, macellerie con teste di montoni sgozzate e appese, pare sia indicativo della freschezza della carne del giorno. Nelle circonvallazioni, pick-up, camion, e sedicenti mercati all’aperto 24/7 vendono enormi cocomeri, meloni gialli, fichi d’india, uva, si mercanteggia anche la notte. A un certo punto sfrecciamo vicino a una moschea, c’è una gran folla, “andiamocene” penso tra me e me. Il mio copilota chiede di rallentare, è in atto qualcosa di molto strano. Al centro di un grande semicerchio due cavalli al trotto stanno trasportando due bambini, una dai lunghi capelli neri, gli astanti applaudono attorno, sarà una festa di paese, un rito di passaggio? “Andiamocene”, dico.

Tra le sabbie tunisine e il porto della Goletta

Arriviamo tardi alla Goletta, dopo aver sorpassato i resort di Gammarth e La Marsa, entrando nella capitale. Il piano era arrivare abbastanza presto, dobbiamo rientrare in Medina per la notte, dopo le 23 è sconsigliato circolare all’interno delle vecchie mura. Invece, facciamo tardi. Arriviamo nel pieno caos della Goletta, al cospetto delle antiche mura cinquecentesche spagnole. E’vero, brulicano ristoranti di pesce fresco in ogni dove, il prezzo è irrisorio, ce n’è di tutti i tipi e in grandissime quantità, quasi come i parcheggiatori abusivi, che bloccano il passaggio e il traffico, assieme alla fiumana di gente. Il mio copilota sta impazzendo.

Tra le sabbie tunisine e il porto della Goletta

D’altronde, la Goletta è uno dei porti più caratteristici del Mediterraneo, è molto simile al nostro sud. Qui è nata Claudia Cardinale, nel 1957 era pure stata eletta l’italiana più bella di Tunisi. A partire dal 1868, con il Trattato della Goletta, una vera e propria ondata migratoria italiana cambiò la fisionomia della città. Gli italiani, in gran parte siciliani, fondarono una camera di commercio, la filiale della Banca Siciliana, il quotidiano “L’Unione”, teatri, cinema, scuole, ospedali: nacque il quartiere della “Piccola Sicilia”. Se gli italiani in Tunisia erano nel 1870 circa 25.000, in occasione del censimento del 1926 raggiunsero gli 89.216, di cui migliaia residenti alla Goletta. Quando nel 1964 i loro beni vennero espropriati, gli italiani della Goletta, non avendo che il passaporto francese, si diressero in Francia sommandosi ai pied-noirs algerini. Di tutto ciò rimangono fatiscenti edifici d’epoca, con qualche fregio liberty, strade dissestate, e la Spigola, il ristorante più rinomato, dove Bourguiba pare fosse un habitué, almeno così testimoniano le innumerevoli foto che ne tappezzano le pareti. Credo ancora che il cibo crudo sia pericoloso, ordiniamo un’orata, dei rombi fritti, arriva il solito pane, perché è uguale dappertutto? Nei giorni seguenti l’avrei capito. Il servizio è eccellente, siamo nel classico locale iconico di una città di mare.

Siamo in Medina, con le nostre solite tre valigie, si sono tutti ritirati in casa, non vola una mosca, è buio. Ho paura. Finalmente, un grande portone monumentale, c’è una piccola porticina d’accesso quasi medievale, si apre la portineria del Dar Ben Gacem, il riparo per le prossime due notti, è bellissimo, vanta anche una silenziosa terrazza panoramica sovrastante i tetti della Medina. Il nostro usciere ci scorta presto in camera, offrendoci una limonata fresca, Shukran. Tutto tace, la notte della Medina è un fatale, magnifico, irresistibile oblio.

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