Esiste un luogo iconico a Riga, in grado di racchiudere le diverse anime della Lettonia e i suoi ultimi cento anni di storia. E’la torre dell’orologio della cioccolateria Laima, custode della città, punto d’incontro dei primi appuntamenti romantici, testimone di tutti gli avvenimenti quotidiani, felici o meno.
E’una mattina glaciale di gennaio, mi sono appena messa in cammino coprendomi il capo con un colbacco di eco-pelliccia, foderandomi con tre strati su gambe e braccia, per cercare di resistere alla corrente artica. Il sole splende, il termometro recita -25° percepiti. Ho affittato un appartamento vicino alla stazione di Riga, poco distante dal grande mercato coperto e dalla torre sovietica della televisione, l’edificio più alto dell’ex Repubblica Socialista Sovietica Lettone. Vorrei raggiungere la Laima factory a piedi, sfidando il freddo, a passo lesto, per poterne visitare il museo ripercorrendo le tappe storiche del popolo lettone attraverso un percorso di alta cioccolateria.


In parte lo faccio già, attraversando nel tragitto il quartiere dell’incantevole Jugendstil lettone (corrente artistica fin de siecle), passando a fianco della Corner House, ex quartier generale del KGB, l’edificio del terrore. Riesco a stento a scattare delle foto, in massimo cinque minuti le dita scoperte dai guanti rischiano di congelarsi, poi quanto mi ci vorrà per riscaldarle?


Questa parte di città è magnifica, vorrei sostare a contemplarla in più di qualche strada, ma in questo modo la temperatura corporea rischia di abbassarsi velocemente. I lettoni camminano spediti, a viso basso, interagiscono molto poco, forse è per questo che è difficile scambiare due parole con loro. In alcuni account social i lettoni giustificano il loro riserbo proprio con il fattore climatico, dicono addirittura di riuscire a riconoscere i turisti in base alla quantità di strati dell’abbigliamento e alla velocità del passo. Prima di arrivare in cioccolateria, nella hipsterissima Miera Iela, mi fermo stremata alla Rocket Bean Roastery, per scaldarmi con un lunghissimo e fumante black coffee più cinnamon roll. Basterà?
L’accoglienza della sede Laima è deliziosa, prima di iniziare il percorso mi offrono alcuni cioccolatini e un bicchierino di cioccolato fuso. Slurp! Come è nata, cresciuta e sopravvissuta questa oasi di felicità nella prima periferia di Riga, fino ad arrivare a raccontarne la storia nazionale?
Tutto ebbe inizio nel 1870, quando l’imprenditore Theodore Riegert fondò la prima fabbrica di cioccolato a Riga. All’epoca la Lettonia faceva parte dell’impero russo, Riegert era uno di quei baltici di discendenza teutonica che da sempre occupavano posti di prestigio all’interno dell’aristocrazia e dell’establishment imperiale e militare, non a caso fino al 1890 il tedesco rimase la lingua ufficiale della regione. Riergert era Baltico-tedesco proprio come l’architetto Mikhail Ėjzenštejn, padre del noto regista sovietico Sergej, figura cardine del sopracitato Jugendstil, interprete del fermento artistico-culturale della bell’epoque lettone.
Riga era la terza maggiore città dell’impero per attività industriale dopo Mosca e San Pietroburgo, città portuale, cosmopolita, un tempo appartenente alla Lega Anseatica, forniva il corretto ambiente multiculturale e la vocazione commerciale e internazionale per permettere la fioritura dell’idea imprenditoriale di Riegert. Poi scoppiò la Prima Guerra Mondiale, che nonostante la parentesi di occupazione tedesca conseguente alla resa di Brest-Litovsk, portò finalmente la Lettonia all’indipendenza. Nel 1921, sei imprenditori fondarono la cioccolateria Makedonija a Riga. Cinque di essi appartenevano a quell’11% di popolazione di religione ebraica, qui giunta soprattutto a partire dall’interregno liberale dello zar Alessandro II (1855-1881), il sesto era un baltico teutonico. In seguito rinominarono l’azienda con un nome più evocativo, che potesse interpretare il fervente spirito identitario lettone nato sulle ceneri della guerra, Laima, la dea baltica della Fortuna e della fertilità. Gli incarti dei cioccolatini rappresentavano appunto in questi anni scene di vita bucolica e soggetti di culto di reminiscenza “pagana” e folklorica.

Dopo i saccheggi bellici, la macchina industriale e manifatturiera lettone dovette quasi ripartire da zero. La Laima divenne velocemente una delle imprese leader del paese, impiegando circa 500 lavoratori e approdando nei mercati esteri: Gran Bretagna, Sud Africa, Olanda, Marocco, Francia, Svezia, Stati Uniti. Il prodotto più antico della collezione Laima viene lanciato proprio in questo periodo, il Prozit, una serie di cioccolatini ripieni di una varietà di liquori (in lettone balsam) che tradizionalmente, fin dai tempi di Caterina II la Grande, sono sempre stati un’eccellenza locale. Nei magnifici anni Trenta la grafica della Laima interpretò lo spirito dei tempi, ideando locandine pubblicitarie che sponsorizzavano il marchio assieme alle più ambite mete di villeggiatura, prima su tutte Jurmala.


Nel 1934, dopo l’abbaglio democratico, Karlis Ulmanis sciolse il parlamento lettone, il Saeima, e instaurò una dittatura. Il passo da qui alla nazionalizzazione delle indebitate cioccolaterie Laima e Riegert fu breve. In questa fase le due aziende concorrenziali vennero fuse, e cominciò un nuovo momento storico sia per la Lettonia che per il fantastico business del cioccolato, ora di proprietà statale, magnificato dallo lo slogan “la Lettonia ai lettoni”. E’proprio allora che l’orologio Riegert prese l’attuale e notorio nome di orologio Laima, ebbene si, la torre di cioccolato che da allora riveste un ruolo particolarmente identitario nella memoria storica del Paese. Inoltre, il cioccolatino Serenade, uno degli attuali besteller, è il prodotto iconico ideato accidentalmente in questi anni: la leggenda narra che un operaio della Laima studiò questa nuova ricetta come pegno del suo amore, offrendo un box di cioccolatini all’amata contestualmente alla proposta di matrimonio. Fomentando un’ottima operazione di marketing, la ricetta è rimasta per molti anni segreta.
Ad ogni modo, la luna di miele di Ulmanis fu breve, nel 1939 Molotov e Ribbentrop decisero che la Lettonia doveva rientrare all’interno della sfera di influenza sovietica, cosa che avvenne in scioltezza a partire dall’occupazione dell’Armata rossa nell’agosto del 1940. La transizione da impresa statale a impresa sovietica fu tempestiva. Tuttavia la Laima non si convertì con grande prova di resilienza in una delle eccellenze della confectionery sovietica, tramutando i simboli lettoni del packaging in simboli sovietici. Il socialismo reale impattò anche i designer del cioccolato, raffigurando donne e uomini lavoratori, tovarishchy, la falce e il martello, la stella rossa. Riconvertì la produzione interpretando nuove ricette. Lo Zephyr di Laima, riprendendo un’antica ricetta in voga nell’impero russo, divenne uno dei peccati di gola nell’intera Unione Sovietica. Di fatto lo zefiro è una versione più gelatinosa della meringa, composto da purè di frutta, chiare d’uovo, pectina, ricoperto o meno da uno strato di cioccolato. Il suo nome si ispira all’omonimo dio del vento greco, per la sua consistenza impalpabile. A mio parere non si parla di chissà che gourmetteria culinaria, ma pare che il prodotto sia ancora ampiamente acquistato nei paesi post-sovietici, dai nostalgici o meno, nonostante la concorrenza irrotta con la globalizzazione.
Dal 1991 in poi la Lettonia tornò indipendente, così come la Laima, prima di essere acquisita dall’attuale fondo norvegese. Nel 2004 i paesi baltici entrano nel Mercato Unico Europeo, esportando oggi in circa 20 paesi e producendo fino a 250 diverse referenze. L’ultima sala del museo parla di sostenibilità nel mondo del cacao, in pieno spirito dei tempi, ancora.
L’eccezionale capacità di adattamento dimostrata da questo marchio, sopravvissuta agli innumerevoli shock economici e geopolitici a cavallo degli ultimi due secoli, reinventandosi, interpretando i simboli e le evoluzioni del Paese, non può che essere metaforicamente associata alla storia del popolo lettone. La Laima ha marchiato la storia di Riga, rendendola nota come “la città dei dolci”, infondendo un delizioso aroma di cioccolato nella sua zona industriale, rassicurandone la popolazione tramite quel simpatico orologio nel centro città, ricordando ai lettoni la propria dignità nazionale.



Pur di sentirne il rintocco, stasera sfiderò la tempesta di ghiaccio prevista attorno alle 20. Poi proverò a raggiungere prima della chiusura un Lido, uno di quei self-service di rimando sovietico dove posso abbuffarmi di bliny dolci e salati, involtini di cavolo ripieni, zuppe bollenti, stufati vari, grečka. Non mi chiedo nemmeno più cosa sto ingerendo, so solo che non riesco a scaldarmi. Ma almeno ho saccheggiato lo shop al dettaglio della Laima, e avrò scorte di cioccolatini per tutto il viaggio. In fondo, la torre di cioccolato ha insegnato a queste genti che si può resistere a tutto, al gelo, alla guerra, ai cambiamenti. Beh, penso che proprio lei, stasera, mi aspetterà.
La tua cioccolataia, C.

