Autostop a Byblos, terra dei Fenici

“Dovete solo scendere al vecchio parcheggio per quella scorciatoia, non è molto intuitiva, ma se seguite le mie istruzioni potrete arrivare alla stazione delle corriere senza dover percorrere tutta Gemmayzeh”. Il receptionist ci disse di non spaventarci, se i muri di quel parcheggio recavano ancora i simboli falangisti e i segni di alcune pallottole. Il luogo era solamente stato un avamposto durante la guerra civile, ora “era tutto tranquillo, solo abbandonato”!

Quella mattina mi ero svegliata di buonora, ed ero stata a ciondolare nella lobby per parecchio tempo, una scena che si sarebbe ripetuta più o meno tutti i giorni successivi. Sarei diventata l’incubo del receptionist. Mi ero messa in testa di andare a Byblos (Jbeil) e Tripoli, verso il nord del paese. Solo che ignoravo alcuni dettagli. In Libano non esisteva più alcuna linea ferroviaria, noleggiare una macchina era non solo pretenzioso, a causa della penuria di rental cars, ma del tutto impraticabile, nessun occidentale era così ardito da guidare per le strade del Libano. Taxi? Uber offriva tariffe piuttosto salate per raggiungere la nostra destinazione. Ma..quindi come si arrivava a Byblos (Jbeil)?

Sostanzialmente esisteva un bus di collegamento giornaliero tra Beirut, Byblos, Batroun e Tripoli. O almeno, queste erano le fermate principali. In pratica il bus si sarebbe potuto fermare sostanzialmente ovunque, anche in mezzo alla tangenziale o sotto un qualche supermercato. Questa cosa squisitamente orientale mi piaceva da morire. Ci avevano detto che l’orario era “flessibile”. “Ogni tanto partono dei bus, non saprei dirvi quando. Andate alla stazione delle corriere e chiedete, gli orari di partenza variano ogni giorno. A volte i bus non partono, o lo fanno solo la mattina, non assicurando il collegamento di ritorno. Però provate! Vi piacerà Byblos”. Non sapevo se innervosirmi per l’aleatorietà delle circostanze o se cedere all’entusiasmo del costante ottimismo libanese. La combo mi affascinava molto.

Il piano era questo, visitare Byblos il mattino, Tripoli il pomeriggio e andare al mare a Batroun prima di tornare a Beirut.

..Non arrivammo mai a Tripoli. In ogni caso, partimmo.

Al fantomatico parcheggio si accedeva intrufolandosi in un cunicolo poco sotto la terrazza della nostra camera. Sbucammo in una polverosa e buia stazione dei taxi dove ci sentivamo decisamente fuori luogo. Sgattaiolammo qualche metro più avanti, c’erano vari bus parcheggiati per diverse destinazioni, il bus per Byblos partiva in meno di venti minuti. Non era un gran bus, probabilmente non vedeva manutenzione da qualche anno, né tantomeno profumava di aria fresca di montagna. Una volta in viaggio, iniziammo ad apprendere cosa ci fosse al di fuori di Beirut, quale trafficata follia esistesse fino alla costa di Jounieh, la “Montecarlo libanese”. Il Libano è piccolo, dopo quaranta minuti eravamo arrivate a Byblos in un modo o nell’altro. Me ne ero accorta per caso adocchiando la nostra posizione su Google Maps, così pregammo l’autista di accostare, non c’era modo di prenotare la fermata. Ci sbarcò in mezzo alla tangenziale.

Byblos

Sorta settemila anni fa con il nome fenicio di Gebal, la città che oggi sonnecchia sulle sponde del Mediterraneo fu rinominata dai Greci con il nome di Byblos (da cui deriva il nome del sacro Libro) per via del commercio del papiro. In qualità di abilissimi commercianti, i Fenici intrattennero fiorenti scambi prima con gli Egizi e poi con i Greci, vendendo anche il famoso legno dei cedri libanesi, lo stesso legno su cui incisero il più antico alfabeto fonetico conosciuto. Testimonianza di questi legami commerciali era data anche dalla contaminatio mitologica: secondo la mitologia siro-fenicia, il dio Adone sarebbe nato sulle sponde di questa città e si sarebbe poi sposato con la fenicia e semitica dea Astarte; secondo il Pantheon greco, Adone si sarebbe invece accoppiato proprio qui con la sua amante, Afrodite.

Autostop a Byblos, terra dei Fenici

Byblos fu un porto di straordinaria floridità, di cui ancor’oggi i siti archeologici portano memoria: il tempio egizio di Baalat Gebal (2800 a.C), gli anfiteatri e le terme romane, il castello dei crociati e la chiesa di San Giovanni Marco (costruiti nel dodicesimo secolo), furono nei secoli assimilati dalla dominazione genovese, mamelucca e ottomana. Oggi Byblos, roccaforte cristiano-maronita, ha le sembianze di un incantevole borgo italiano in pietra ocra, in cui l’ordinato e grazioso mercato delle spezie si incrocia con viottoli acciottolati e contornati da bouganville. Giù al porto si celebra ogni estate il prestigioso Byblos Jazz Festival, che richiama artisti di fama internazionale. Byblos è un’oasi di tranquillità, silenziosa, floreale e animata da ristorantini di vero pregio. E’proprio qui, all’Adonai Le Petit Libanais, che ho assaggiato il miglior hummus della spedizione libanese (per la cronaca, mi ero ripromessa di ordinarne uno in ogni locale in cui ci saremmo sedute). Il nostro pranzo: un calice di rosso libanese, hummus e delle polpettine grigliate su un coccio di ceramica ardente. Pita appena sfornata. Aaahh.

Autostop a Byblos, terra dei Fenici

La visita a Byblos si prolungò più del previsto, era pomeriggio. Raggiungere Tripoli era già diventata un’ipotesi impossibile, volevamo almeno andare al mare e poi raggiungere la mondana Batroun per una cena sul porto fenicio. Non c’era alcun mezzo per raggiungere le spiagge che avevamo individuato, nessun autobus, nessuna linea o taxi che circolassero per strada.. Subentrò l’idea di chiedere “un passaggio a una donna che avesse una macchina carina”. Mi sovvenivano i ricordi del Caucaso, quando spesso viaggiavo in compagnia di tassisti edentuli che guidavano sigillando il volante con lo scotch. Volevo provare ad evitare esperienze simili qui in Libano. Dopo mezz’ora di vagabondaggio, invece, eravamo a bordo di un auto scassata in direzione del litorale, ma in meno di 5 minuti ne approfittammo per scendere e procedere a piedi..il nostro autista non ispirava grande fiducia.

Autostop a Byblos, terra dei Fenici

Di nuovo in strada. Grazie a Google maps sapevamo di essere più o meno vicine alla costa. Quando all’orizzonte si stagliò il mare, capitammo in una delle vecchie stazioni di blocco dell’esercito libanese. Più avanti apprendevo che per accedere alle spiagge private fosse talvolta necessario sottoporsi a dei controlli di routine da parte dell’esercito. Questa condizione accomunava molte strade del paese e avveniva per ragioni strettamente preventive, non c’era nulla di cui preoccuparsi. Mi sembrava sempre che in Libano non ci fosse nulla da temere. E anche se mai fosse successo qualcosa, i libanesi sarebbero sempre riusciti ad annacquare le circostanze con il loro adorabile fatalismo. Questo generava in me un inesplicabile senso di libertà.

Ad ogni modo, oggi (2024) nel dibattito politico liberale libanese diverse sono le forze politiche che si battono per la smilitarizzazione delle strade.

Beh, infine avremo trascorso tutto il tardo pomeriggio sulle sdraio del Pierre & Friends, un colorato beach bar a ritmo oriental mix sullo sfondo del Mediterraneo. Senza chiederci come saremmo tornate a Beirut, semplicemente addormentandoci sulla spiaggia.

Autostop a Byblos, terra dei Fenici

Tornare? Bah, a quanto pare era la giornata dell’autostop, c’avevamo quasi preso gusto. D’altronde non saremmo mai tornate in qualsiasi altro modo. Saltammo su una jeep che guidò per un’ora e mezza a velocità fuorilegge sulla litoranea tra Batroun a Jounieh, per poi risalire nella superstrada fino a Beirut, incastrarci nel traffico di Bourj Hammoud e finire davanti al Saifi. Era un tizietto col frontino che faceva il corriere espresso in tutto il Libano. Passava per caso vicino al nostro beach bar, e ci prese su. Parlava solo arabo, con Google traduttore gli proposi di spararci del pop libanese. Bastò far finta di non capire che voleva i nostri numeri, far finta di garantire la nostra disponibilità ad altre avventure su quattro ruote, per riuscire ad essere recapitate in ostello senza alcun contrattempo. La logistica di quel terzo giorno di viaggio si sarebbe rivelata la regola dei giorni successivi, all’insegna del caso, dell’improvvisazione, delle contingenze. Purtroppo, o forse per fortuna, da quella giornata avevo capito che il Libano non era di certo un luogo in cui sperare di rispettare dei programmi.

Quella sera avevamo appuntamento con Hassan (vedi ch. 1 Libano) e un suo amico di infanzia, ci avrebbero portato in uno dei locali underground di Hamra, il Bayt Em Nazih, per una scorpacciata di mezze e un torneo di backgammon..

Autostop a Byblos, terra dei Fenici

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