Profonda Nubia: gesta e sacrifici sulla Diga di Aswan

Sono le 4 del mattino, attracchiamo ad Aswan, svegliate di soprassalto dal motore roboante della nostra motonave.

Aswan l’indolente, la “migliore città dell’Egitto”.. la definiva Omar Sharif, chissà cosa intendeva. Noi, poco dopo, verso le 5.30 del mattino, siamo già in sala colazione. Questo viaggio insegna a sfidare i propri bioritmi: omelette, pancake, waffle, yogurt, riso in bianco e foul (l’antico cibo divino dei faraoni), insalate..tutto è alla nostra mercè molto  prima delle luci dell’alba. Scendendo verso il Sudan l’atmosfera si fa più umida e opaca, le temperature salgono, il cielo si obnubila, rendendo il Nilo più torbido.

Il viaggiatore che si ostina a proseguire in Nubia può abbandonarsi al Nilo solo a tarda sera, quando soffia il vento del sud, poi costretto a svegliarsi al sorgere del mattino per riuscire a visitare la terra ferma. Si riposa al pomeriggio, dopo un pranzo nutrito, cercando di ristorare le membra infiacchite dalle levatacce mattutine. Ho sentito dire sul ponte che domani ci sveglieremo alle 3.30 per Abu Simbel..

Aswan antica

Roboante è anche il motore del barchino che ci porta al tempio di File, verso le 6.30, nel silenzio del Nilo, al sorgere del sole. Con il termine greco Philae si indicavano due isole situate nella cateratta di Aswan, frontiere e presidio militare del regno egizio, nonché centro di snodo commerciale. Gli Egizi fecero proteggere questo luogo strategico dalla dea Iside, dedicandole questo tempio, uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio anche per i nubiani, così come scolpito nell’”obelisco di File” (dove si intravede anche il nome di Cleopatra) che da qui Giovan Battista Belzoni traslò fino alla tenuta di Kingston Lacy, in Inghilterra. Fu tramite le iscrizioni di questo obelisco e la Stele di Rosetta che si arrivarono a decifrare i geroglifici. Prima di lui, qui giunse la spedizione di egittologi napoleonici nel 1799, poi fu la volta di noi italiani, che entro la fine degli anni Ottanta del Novecento riportammo alla luce il tempio allora semi-sommerso di Iside, trasferendolo a 550 m di distanza, nell’isola di Agilkia. Di fatto, sotto la direzione dell’architetto Giovanni Ioppolo, il tempio venne circondato da delle dighe di protezione, successivamente smontato e ricostruito nell’attuale sede. Il complesso monumentale a rischio, già noto come Perla del Nilo, ricordato dall’opera di Pierre Loti Mort de Phile, portò i paesi Unesco a bandire una gara internazionale per il salvataggio dei monumenti di File.

Tuttavia, rispetto ai templi del Basso Egitto, il tempio non possiede la stessa taglia e sfarzosità, non riesce ad affascinare con la stessa potenza. Eppure Iside, dea della vita, della fertilità e della magia, non soltanto venne qui venerata dagli indigeni, ma anche dalle potenze occupanti greche e romane, nei cui imperi si diffusero i riti misterici di Iside, soprattutto tra le donne (pare che alcuni centri di culto siano stati rinvenuti persino nella lontana Ungheria..). Talvolta assimilato al culto della dea del pantheon romano Cerere, il rito misterico di Iside pareva promettere di salvare i fedeli dall’Ade con la promessa dei Campi Elisi. Il contesto sincretico originatosi attorno alla dea interessò anche il Cristianesimo, che proprio come tutti i culti misteriosofici era una religione di salvezza, con la differenza che riconosceva nella Vergine Maria la figura della dea madre.

Aswan odierna

Da luogo di pellegrinaggio a meta di esplorazioni di grandi viaggiatori dell’Ottocento..che ne è dell’Aswan di oggi? In pochi la conoscerebbero se non fosse per la spettacolare diga costruita negli anni Sessanta del secolo precedente, trofeo geopolitico di Gemal Abdel Nasser. Era un’epoca in cui Stati Uniti e Unione Sovietica, protagonisti del nuovo ordine mondiale, giocavano ad estendere la propria sfera di influenza sugli stati di recente decolonizzazione bisognosi di opere infrastrutturali. Gli statunitensi operavano tramite la longa manus delle istituzioni di Bretton Woods, i sovietici tramite il finanziamento di ingenti e scenografiche opere pubbliche. Nel 1956, solo quattro anni dopo la rivoluzione, il generale Nasser rendeva noto, con un gesto plateale, che non gradiva continuare ad attendere l’erogazione di un prestito da parte di uno dei due blocchi: così, nazionalizzando il Canale di Suez, avrebbe finanziato la costruzione della diga di Aswan. Ciò innescò velocemente la Crisi di Suez, sfortunata impresa militare di Gran Bretagna e Francia, che ancora credevano di poter salvare i denari investiti a partire dalla costruzione del Canale (1867), anacronisticamente convinti di poter ancora esercitare un certo ruolo politico-militare, ostaggi della nostalgia. A Sevres, in segreto, le due vecchie potenze europee pianificarono l’intervento militare coinvolgendo Israele, che avrebbe creato il casus belli per l’intervento dell’asse anglo-francese a Suez. Peccato che solo Israele ne trasse beneficio, ottenendo il primo sbocco sul Mar Rosso, ad Eilat. Le Nazioni Unite crearono la prima missione militare dei caschi blu, 46.000 uomini che avrebbero presidiato di lì agli anni successivi il territorio conteso. Detto in altri termini, Stati Uniti e Unione Sovietica indicarono alle potenze della Vecchia Europa di farsi da parte, decretando il cessate il fuoco, riservando loro un’autonomia decisionale geostrategica di secondo piano, esautorandoli da qualsiasi residuale velleità post-coloniale. Finalmente l’Egitto possedeva i proventi per realizzare la sua fantomatica diga, visti gli insufficienti risultati apportati da quelle realizzate da tedeschi e inglesi a inizio Novecento. Una grandiosa opera di propaganda interna, un trionfo dell’equilibrismo tra le superpotenze, l’Egitto si consacrava campione dei paesi non allineati, acquisendo la fama necessaria per esercitare la leadership del movimento panarabo. La diga fu terminata nel 1970, un’opera immensa che attutì gli effetti delle periodiche carestie e inondazioni del Nilo, riuscendo tutt’ora a fornire più della metà del fabbisogno di energia elettrica dell’Egitto. Per la prima volta negli anni Settanta quasi tutti gli egiziani godevano dell’energia elettrica, e anche i sovietici se ne intestavano parte del merito, alla fine finanziarono 1/3 del progetto.. Non a caso, oggi un imponente monumento celebrativo dell’amicizia egiziano-sovietica ci accoglie all’entrata della diga. Ma tutto ha un prezzo: la diga generò 6000 m quadrati di Lago Nasser, artificiale, preoccupando gli archeologi, che si affrettarono a mettere in salvo i templi in Nubia, come Abu Simbel, che sarebbero stati inevitabilmente sommersi. In più, non solo le popolazioni nubiane che da millenni vivevano localmente furono sradicate e deportate verso il deserto e a sud, a confine con il Sudan, ma anche l’impatto ambientale dell’opera diminuì la forza del Nilo, portando all’avanzamento delle acque salate del Mediterraneo dal delta e alla conseguente scomparsa di alcune coltivazioni agricole, all’alterazione della fauna marina e quindi alla diminuzione della produttività della pesca del fiume. Però, energia fu, e questo, secondo Nasser, poteva giustificare quasi ogni cosa e soprattutto il “sacrificio” della popolazione nubiana.

Chi sono i nubiani? Al giorno sono d’oggi una minoranza linguistica di circa 100.000 persone di lingua nilo-sahariana e araba, discendenti di una civiltà risalente all’Antico Egitto. Dal momento della deportazione i nubiani sono stati politicamente e socio-economicamente marginalizzati, contestualmente all’arabizzazione dell’Egitto e all’assimilazione (neutralizzazione?) di tutte le minoranze linguistiche. Sono normalmente confinati a professioni considerate di serie B, sono portieri, domestici e driver. Ogni loro tentativo di mobilitazione collettiva è sempre stato soppresso dal governo, che li considera una minaccia all’unità nazionale obbligandoli a negare ogni velleità separatista. Con la rivoluzione di Piazza Tahrir (2011) i nubiani hanno finalmente partecipato alla prima manifestazione anti-governativa, ottenendo di rivendicare il ritorno delle terre espropriate sul Lago Nasser tramite una rappresentanza negoziale al processo costituzionale del 2014. L’articolo 236 della Costituzione menzione infatti la “Nubia” come un territorio che deve essere restituito in un periodo di 10 anni (2024), seppure l’implementazione rimanga lontana a causa di un posteriore decreto presidenziale che classifica sedici villaggi nubiani come parte di una zona militare.

A seguito di qualche “ostinata” manifestazione di protesta, gli attivisti sono stati prontamente arrestati e la questione nubiana parrebbe dirigersi verso quella che senza l’intervento umano (o la protezione della dea Iside?) sarebbe stata la sorte del tempio di File, sommersa nell’oblio delle profonde acque nubiane..

Profonda Nubia: gesta e sacrifici sulla Diga di Aswan

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Storia precedente

Attraccando sul Nilo – i villaggi di Edfu, Esna, Kom Ombo

Storia successiva

L’Old Cataract Hotel – Aswan

Latest from Blog

Treno Tashkent-Samarcanda

Stazione di Tashkent, 8.30 del mattino E’ un giorno così strano, questo. Sono in Uzbekistan per lavoro, pare che a breve salirò su un treno che mi porterà a conoscere un nostro

Paulista! Tudo acaba em pizza

Pizzeria Veridiana, quartiere Jardins, San Paolo Tudo acaba em pizza!, come per gli italiani si risolve tutto a tarallucci e vino, mi spiega il cameriere del Veridiana, un elegante locale annoverato tra le

Io sono uno yazida

E’ il penultimo giorno dell’anno 2024, sono sulla strada innevata per la città di Gyumri, l’antica Aleksandropol degli zar, oggi Armenia. Siamo nelle mani di Berj, un adorabile autista armeno di origine

The Oss Bar – essere un farang a Bangkok

“I am the Intrepid Traveler – Never a dull moment” Jim Thompson Sorseggio una tazza di tè nero del Siam al the Oss – un angolo di ineffabile estetica orientalista, riscaldata dai
Go toTop