[continua da “Ankara, capitale della Turchia”]

R passa a prendermi in ampio ritardo. Ogni tanto mi chiedo se veramente mi affascinino i ritmi dell’Oriente.
Dopo un’ora di strada arriviamo nella zona industriale di Ankara, l’ufficio è al primo piano di un grande magazzino logistico, d’altronde che c’è da aspettarsi da un’azienda di import-export. Ho conosciuto l’azienda X sull’onda dei tempi, scrivo nel novembre 2022 a guerra russo-ucraina da poco iniziata: il Sultano punta all’indipendenza finanziaria, tiene bassi i tassi della Banca Centrale, la lira turca si svaluta, l’inflazione impazzisce oltre il 70%, i turchi si impoveriscono, ma da quando l’Orso russo ha innescato il conflitto i turchi più scaltri fanno affari d’oro con l’estero. In Turchia da qualche mese sono proliferati magazzini ad Istanbul e Ankara, parti attive nel gioco di piroette del commercio internazionale, in quanto centro di snodo delle triangolazioni valutarie e commerciali tra Occidente, Russia, Caucaso e Iran. Nonostante la cortese “indicazione” statunitense di abolire il sistema di pagamenti vigente tra Turchia e Russia, i turchi fissano di volta in volta tassi di cambio vantaggiosi per le transazioni, dividono le commissioni bancarie con i partner commerciali e alimentano flusso di merce nell’oblio del mercato parallelo.
“Saremmo stupidi a non farlo”, mi commenta M, accogliendomi nel suo ufficio-vetrata con vista tramonto sulla “magnifica” zona industriale di Ankara. Sorrisetto truffaldino, faccia di quelle viste solo tra Tashkent e Almaty. Sono lui, R e H ad allestire l’atmosfera per il nostro incontro di ben quattro ore: Nebbia. La combustione di tabacco intorpidisce i colori della mia presentazione power point, arrivano senza sosta ettolitri di çay. Sembra essere la regola numero per sedersi a parlare in Turchia. E’in questo contesto che ascolto i racconti più torbidi sul negozio del caffè nel Paese, d’altronde sono proprio loro a ritenersi i fondatori della sacra bevanda kahve. Cercando di capire come posizionare il mio grazioso marchio, mi imbatto nelle “storie di successo” di alcuni dei principali attori della concorrenza. Alcuni marchi italiani sono finiti in mani sbagliate, preda di associazioni malavitose che ne hanno contraffatto il logo e compromesso la qualità del prodotto. Sebbene le conseguenti cause internazionali ne abbiano sospeso l’importazione, gli stessi marchi di caffè hanno continuato a confluire in Turchia, sempre nella versione contraffatta, proveniente da ulteriori e avventurosi tostatori balcanici. Saltiamo tutti sul carro della contraffazione. Pertanto, c’è da chiedersi quanto ancora di autentico ci sia del caffè italiano in questo Paese.
Tuttavia, il mio amico M sogghigna, per il momento crede di essere il vincitore dei giochi, e di essere ora uno dei player più attendibili del mercato, non resta che dare l’impressione di bersi questa storia mentre provo a verificare alcune informazioni tramite il mio network e mettere insieme dei punti. La conversazione è ancora lunga..
Ho lo stomaco distrutto, dalla teina, dalla fame, dal livello di attenzione che mi impongo di avere per non disattendere alla risposta di nemmeno una battuta di quelle che ascolto. Sono sempre di fronte a tre signori, sedicenti ottomani, che cercano di valutare se o come fregare una giovane donna non musulmana che pensa di poter condurre la conversazione come le pare. In realtà mi sono pure divertita, sembrava di stare a chiacchierare in un bazar.
Dopo quattro ore ce la squagliamo, per fortuna. Stasera sono ospite al Karafaki fish restaurant di Ankara. Pare che sia nella zona trendy della città, Maidan, seppure io non ci veda nulla di chic. Forte dell’esperienza di Bodrum, questo ristorante ha aperto un nuovo locale tra le steppe ankaresi, portando una ventata di Mediterraneo! H è il più goliardico dei tre, mi conduce subito di fronte al banco delle mezze del giorno: “scegli quello che vuoi, Claudia!”. Mi siedo vicino a lui a cena, è molto ospitale, appena finisco una sigaretta me ne fa trovare sempre una pronta al lato del piatto (ma io non ce la faccio più!), e mi rabbocca sempre il bicchiere di raki appena lo vede vuoto. A me il raki non piace, ovviamente non posso dirlo. Cerco di diluirlo con quanta più acqua possibile. Il pesce in Turchia si pasteggia prevalentemente così, dicono i più, non posso sottrarmi.
Per quanto stancante, mi piace sempre partecipare alle cene collaterali agli incontri di lavoro, quando tutto si fa più informale, gli individui sembrano più deboli e più proni a farsi sfuggire pensieri sinceri. Racconto delle mie vacanze in Cappadocia, della visita all’Anitkabir, ascolto qualche storia su quanto sia variegata la cucina, la geografia e infine, la popolazione turca e blabla.. Da qui, è subito politica, un argomento che voglio sempre evitare, o al massimo strumentalizzare.
“La Turchia raggiungerà a breve i 100 milioni di abitanti, non come voi in Europa. Ho sentito un documentario che diceva che entro il 2035 gli europei si “estingueranno” e verranno “sopraffatti” dagli africani. Le donne non fanno più figli”, dice M.
“Beh oggi il costo della vita è molto elevato in Italia, perciò è normale che siano sia gli uomini che le donne a doversi impiegare e contemporaneamente gestire la famiglia”, replico.
“Ma in Turchia le donne vanno al lavoro con i figli, quale è il problema? Oggi tutti i ragazzi pensano solo a postare video su instagram e non hanno voglia di fare nulla, né di lavorare e nemmeno di mettere su famiglia!”.
“Sai, è vero M, la mia generazione è nata in un relativo benessere ed è meno propensa a dare il giusto valore al lavoro. In molti però abbiamo investito tempo e risorse nello studio e vorremmo solo che il mondo del lavoro fosse più recettivo e che le competenze acquisite fossero valorizzate e corrisposte da una giusta retribuzione. Questo solo in pochi casi avviene. Così in molti si affannano ad arrivare a fine mese, e si, è vero, a volte le donne che hanno dedicato del tempo allo studio sviluppano una certa ambizione, e faticano a concentrarsi solo sulla famiglia.”
“Questo sta rovinando la società!” esclama M.
Ed io: “Perché dovrei rinunciare a diventare CEO? Non che mi interessi in realtà..ma poniamo il caso”
“Vedrai cosa significa diventare CEO e poi non avere nemmeno tempo per la tua famiglia, avere un pakistano che ti cura il giardino ma non avere neanche il tempo per godertelo”.
“Sai M..forse hai ragione……” Ora inizio a ribattere per assurdo per divertirmi un po’.
“Certo che ce l’ho! Voi europei vedrete, il nostro presidente si arricchisce sempre di più ma almeno una cosa la sa fare, oltre a costruirsi i suoi tesori, sa rendere grande la Turchia nel mondo! Guarda ora, se non ci fosse lui a mediare il conflitto in Ucraina, cosa ne sarebbe del transito del grano in tutto il mondo arabo e africano. Per non parlare del gas, la Turchia diventerà il nuovo hub tra Russia e Mediterraneo. Il nostro presidente ci riprenderà l’Armenia, e poi attraverso gli azeri finalmente si riprenderà la parte di Iran che ci spetta, e così parte dell’Asia Centrale, il vecchio Turkestan. Quando visita quei paesi il Nostro Presidente è sempre accolto con grandi onori. Vedrete!”
“Beh, sembra che tu abbia ragione, almeno però dell’Europa ti piace ancora il caffè, giusto? Questo non lo puoi negare”, dico.
“Certo gli italiani sono miei amici, anche se parlate così in fretta! L’Italia è un bel paese, solo che non avete i giusti governanti, anche se sembra che la nuova donna al potere sia molto dura eh? Non le piacciono i migranti vero? Brava!”
“Vedi M, la situazione è molto complicata in Italia. Ma sicuramente il Presidente è un esempio di quello che una donna può realizzare, essere “CEO” ed anche una madre”, chioso.
La risposta non gli era piaciuta molto, ed iniziavo ad essere stanca. Di caffè avevamo parlato molto e ora iniziavo a diventare troppo provocatoria. Il buon R, che dopo un mese si sarebbe licenziato, capisce subito che voglio cambiare discorso e riiniziamo a discorrere delle mongolfiere in Cappadocia con H. Facciamo l’ultimo schifoso brindisi di raki alla nuova cooperazione, e chiedo di congedarmi, l’indomani mi aspetta un lungo viaggio in treno per Istanbul.
Sono tre gradi quando rientro in albergo, non vedo l’ora di scaldarmi con un tè.
Come la sera precedente, accedo la tv: in un piccolo villaggio polacco di Przewodow, a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina, un missile ha da poco colpito il terreno di un’azienda agricola polacca. Sono morte due persone. A riportare la notizia per prima è la Bild tedesca, l’ipotesi è che si tratti di armi russe. A Bali si sta tenendo il G20, dove si sono riuniti tutti i leader mondiali, tranne Vladimir Putin. Qualche giorno prima avevo solo visto sui social Sergey Lavrov in braghe corte sulla terrazza indonesiana. Sto assistendo ora a un generale impazzimento dei canali di informazione: un attacco al territorio Nato polacco giustificherebbe la difesa collettiva a opera degli altri Alleati, sulla base dell’articolo 5 del Trattato Nordatlantico.
Mosca però smentisce subito la paternità dell’accaduto, intanto in Europa la situazione sembra precipitare velocemente. La Lettonia condanna “l’attacco russo” alla Polonia, l’Ungheria convoca il Consiglio di difesa, l’esercito polacco sta entrando in stato di allerta. Il presidente ucraino Zelensky non ha dubbi: sostiene, ovviamente, che la responsabilità sia russa. Parla di “un attacco missilistico alla sicurezza collettiva”, chiede di agire e di convocare un vertice Nato. Nel frattempo leggo che il Pentagono ribadisce l’impegno di Washington verso l’articolo 5 del Trattato dell’Alleanza. Precisa subito, però: non c’è nessuna prova che l’attacco sia stato organizzato da Mosca, né si sa da dove sia provenuto il missile. Kiev chiede l’accesso al luogo della caduta del missile, ma il permesso viene negato. Il Cremlino parla di un tentativo dell’Ucraina di “provocare uno scontro militare diretto fra la Nato e la Russia, con conseguenze per l’intero pianeta”.
Il presidente turco Erdogan, vestendosi da mediatore tra i due Paesi in conflitto, invita alla prudenza e parla di un’ipotesi di “un errore tecnico”. Ora anche la Polonia è più prudente di prima: non ci sono “prove inequivocabili” su chi abbia sparato il missile. D’un tratto si inizia già a parlare di uno “sfortunato incidente”.
Prima di coricarmi, il Cremlino plaude alla reazione “misurata” degli Stati Uniti. “In questo caso – ha sottolineato Peskov – bisogna prendere nota della reazione riservata e molto professionale del presidente americano”. Una reazione, ha aggiunto il portavoce, che contrasta con quella “assolutamente isterica della parte polacca e un certo numero di altri Paesi”. Credo che ora potrò addormentarmi.
Buonanotte Ankara.