Piove a dirotto a Salonicco, ma nessuno sembra badarci qui a cena, sotto i tendoni all’aperto della taverna Rouga. Un paio di mangas suonano il rebbetiko, come la prima sera che cenai in questo posto, in un imprecisato giorno dell’aprile 2015, quasi dieci anni fa..

“Sono tanto tanto tanto felice”, diceva Nicola quella sera. Eravamo tutti universitari, io addirittura al primo anno, quando approdammo per la prima volta a Salonicco, io e miei carissimi amici Martina, Pietro, Nicola, Alessandro. Quella sera, dopo cena, io e Martina eravamo finite a ballare al club “Trois”, cantando pop greco laika quando ancora non sapevo assolutamente il significato di quello che urlavo, e tantomeno chi fosse Nikos Vertis. Era una festa di laurea di un tizio che non avevamo mai visto e che sarebbe diventato un amico fraterno, Kostas. Uno di quelli che.. “saremo amici per sempre”, ci credo ancora oggi, nulla è cambiato.

Nei giorni seguenti eravamo finiti in a una festa universitaria ad Ano Poli, sempre da una persona che non conoscevo ancora, un animo dolce e nobile, Spiros. Una ragazza incontrata a Chios l’estate prima, Kostantina, ci aveva detto che quella sera Spiros ci avrebbe aspettato con le sue scarpe arancioni fosforescenti davanti al Consolato turco, per portarci a casa sua, dove fino a notte inoltrata avremmo cantato Eros Ramazzotti con una masnada di greci al primo anno di medicina. Alcuni di loro avrebbero accompagnato il giorno seguente Pietro e Nicola a vedere la partita dell’Iraklis, dovevano insegnare loro come entrare allo stadio senza biglietto. Ma non eravamo andati a Salonicco per vedere la partita del Paok?
La sera seguente ancora avevamo ballato nella notte della verace piazza di Ladadika, cantata dall’icona Dimitris Mitropanos, dopo esserci inebriati di toumba libre, il cocktail più vomitevole della storia a base di retsina e coca cola. Nel corso di quei giorni avevamo visitato tutti i musei archeologici e monumenti disponibili, “ma chi cavolo se li va a vedere?” ci dicevano quasi tutti i locals. Tra fumo, vento primaverile e insonnia mi ero presa un accidente indicibile, divenendo completamente afona. Tuttavia il ricordo di quei giorni rimane vivido nella mia mente, stremata e sibilante ero tornata a lezione a Venezia dalla mia amica Elisa, ma con la sensazione di aver vissuto in quattro giorni un concentrato di emozioni che non avrei accumulato nemmeno in un anno.
Ed oggi il Rouga sta, come stava quella sera. Nulla è cambiato, forse solo io. A volte capita di tornare nella stessa città a distanza di tempo e di rivivere noi stessi attraverso i nostri ricordi, impressi nei luoghi più banali, nelle sciocchezze e nei dettagli più evocativi. Salonicco per me significa questo. L’ho vissuta da universitaria, da giovane donna che in una lunga e greca estate calda si è imbarcata nelle esperienze più improbabili, avventurose e irragionevoli. Avevo fame di futuro, così tanta che sentirmi insensata lontano dalla mia quotidianità mi faceva stare bene e vivere la spensieratezza che mi meritavo.
L’ho poi vissuta rientrando da Istanbul, dopo una notte infinita in pullman, quando io mia sorella e Alberto ci accampammo a casa di Thanasis dopo aver scoperto assieme “Kostantinoupoli”, nell’agosto cocente del 2017. Quel giorno Salonicco mi aveva accolta diversa, ricordo che me ne andai a camminare da sola attorno alla Chiesa di Agia Sofia, era l’età in cui avrei dovuto fare i conti con un sentimento che mi avrebbe compromesso, sarei stata all’altezza?
Sono tornata durante la pandemia, quando nessuno in città di arrendeva al distanziamento sociale e i bar e rooftop della città pullulavano di persone nelle terrazze esterne. Kostas mi aveva detto “mask here is forbidden”. In quell’epoca per me Salonicco rappresentava la fuga da una situazione di prigionia che non accettavo più. Sempre inquieta, per colmare il vuoto mi ero messa a studiare per il concorso diplomatico, credendo che ce l’avrei fatta. Kostas mi allertò invece una notte di quel periodo, profetico, mentre ci sbafavamo la famosa bougatsa di Giannis, dolce e salata: “Claoudiaki, you are an incredible woman and I wish your dreams will come true, but remember that things don’t always fully depend on us”.
Infine negli ultimi anni sono tornata una o un paio di volte l’anno per lavoro, vedendola ancora una volta da un lato diverso. Capire i greci dal loro frento espreso (metrio, sketo, glyko?)è un’esperienza culturale che consente di infiltrarsi perfettamente nelle dinamiche della loro quotidianità.
Da ogni angolatura Salonicco mi è sembrata sempre meravigliosa, forse perché ogni volta la città mi accetta esattamente come sono, senza fare domande, senza chiedere perchè. A Salonicco non frega nulla se io cambio, lei stessa non sa bene cos’è, e sa di piacere. La prima volta che portai mia sorella in città mi chiese “Ma è questa la città di cui mi hai parlato?”. Presto anche lei avrebbe ceduto al fascino della via più iconica, brutta, caotica, viva e divertente, l’impronunciabile Tsimiski, che di giorno è animata dagli esercizi commerciali e la sera tuona il suono dei bouzoukia che rimbombano dalle casse delle auto in coda per la movida di Ladadika e Odos Mitropoleos.


“Salonicco is the best!” dicono tutti, ma perché? Sembra che tutti ci vogliano vivere.
Qui sono avvenuti eventi fondanti dell’attuale repubblica greca, come l’assassinio di Lambrakis nel 1963, da cui il romanzo e film “Z-l’orgia del potere”. Anche se la città è greca da poco, dal 1912, Salonicco è sempre stata una città di frontiera, un’accozzaglia di elementi che fondono diverse influenze, e quel che rimane intatto dall’incendio del 1917 lo testimonia: le maestose mura bizantine, la chiesa di Agios Dimitrios, di Agia Sofia e l’antichissimo Monastero di Vlatadon sull’Eptapyrgion, su ad Ano Poli, la parte alta della città, silente e dormiente, interamente conservata e in stile ottomano, da cui si domina il golfo di Salonicco. La città di Cirillo e Metodio si fa subito Oriente nei giardini del Pasha, nelle fontane ottomane, nella casa natale di Mustafa Kemal, obiettivo di rappresaglia terroristica nel corso dei fatti di Istanbul del 1955, negli antichi hammam oggi festosamente riconvertiti in night club come l’Aegli Hammam, nella politiki kouzina servite nelle taverne, nella piacevole e naftalinica estetica dei locali tradizionali sulla leggendaria via Egnatia. Salonicco era inoltre fino alla seconda guerra mondiale una città ad altissima composizione ebraica sefardita (circa il 98% di loro furono annientati nei campi di sterminio nazisti), come testimoniato dall’Agora Modiano, completato nel 1930 dall’architetto italo-ebreo Eli Modiano sul sito dell’antica sinagoga Talmud Tora. Oggi invece il tentativo è di assurgere Salonicco a centro nevralgico della Macedonia, costruendo la sua identità scavando in un passato molto lontano.
– Alessandro Magno, Pella, Vergina (magnifiche le tombe monumentali di Filippo II il Macedone), fuck North Macedonia, just Fyrom exists. –
Queste sono le parole che si susseguono rovinosamente quando si accenna alla questione macedone, argomento delicato anche per chi in fondo è solo orgoglioso di vedere la statua di Alessandro Magno sul lungomare, senza saperne bene tutta la storia. Tanto nel frattempo allo stadio del Paok il Presidente e magnate del tabacco di Rostov, Ivan Savvidis, sta sparando in campo durante la partita, “questi slavi..”. “Sono dappertutto” dicono spesso i tessalonicesi. Soprattutto nell’ultima “gamba” della penisola Calcidica, dove si concentrano alla volta di Ouranoupoli tutte le chiese ortodosse del mondo, sul sacro Monte Athos, laddove non possono entrare le donne. Mentre nei villaggi più a nord-est stanno i pomacchi, comunità di bulgari di lingua e religione islamica con cui ho sorseggiato del kahve e giocato a carte nel bar di paese di fronte alla moschea, mentre attendevamo di consumare la nostra gözleme. Che sia per motivi religiosi o meno, il territorio di questa Grecia, la Macedonia, è poroso rispetto alle attività commerciali, al turismo, ai traffici illegali di bulgari, serbi, turchi, russi, macedoni del nord. “I have been many times to Skopje to buy my cigarettes and do some other stuffs”, è una frase che ho sentito spesso dire da queste parti.
Comunque, tutto questo affaccendarsi per definire l’identità di questa città è inutile, a chi importa? Salonicco piace perché non si prende sul serio, rendendosi in questo modo più accessibile, fornendo ai numerosi studenti che qui accorrono da tutta la Grecia una chance per esprimere sé stessi, lontano dai prezzi e dalla frenesia della “giungla” ateniese. “Anche un idiota riesce a muoversi la prima volta a Salonicco, sono tre strade paralle, è semplice, non puoi sbagliare”, dice Nikos. Qui tutto è “chalarà”, spesso aleatorio, inconsistente, ma incredibilmente resiliente. Mi sono sempre nutrita di vita quando sono capitata qui.
E forse la metafora di questa città è proprio il mio amico Kostas, the flag of the town, come lo chiamo io, altro che la Torre Bianca. “Claoudiaki, agapi, kariolaki mou, remember that your inner soul is crazy. I know you, and remember that I can always see it clearly”. Come quella volta che siamo andati a cena all’Olympion in Piazza Aristotelous “so I took you here because we have two sides of Claoudiaki: chimneys with elegant furnishing for your historical and.. museum soul or whatever; in the back, devil Claoudiaki, hell dancefloor all night long”.
Con lui ho corso a 200 all’ora per le strade del paese sulla sua macchina scassata e poi su una Tesla procurata chissà dove, gli ho pure rigato la carrozzeria. In quella macchina immonda ho imparato tutte le canzoni greche che conosco a memoria, cantandole a squarciagola con lui mentre a finestrini bassi si fumava la sua sigaretta elettronica dai flavours più schifosi assieme a caffè freddo di bassa lega. Ogni volta che torno in città e mi pianta sul sedile anteriore ci tiene ad aggiornarmi sulle ultime hits, l’anno scorso era “Baby bonasera, milas italika?”. Un rap improbabile, ma lo amo perché sa di qui. Con lui ho fatto le uniche serata veramente trash e indimenticabili della mia vita, cose che non sarei mai riuscita a portare a termine in Italia. “Everybody loves Thessaloniki because it’s closed to Chalkidiki”. Che in breve sono quelle due gambe della penisola Calcidica dove mezza Grecia va ad impazzire in estate, amplificando la già sfrenata fama di Salonicco. Sono stata quattro volte con mia sorella a casa di Kostas a Pefkochori, frequentando i beach club più adorabilmente trash come il Cabana beach, il regno dei cosiddetti kágkouras, fatto di costumi leopardati, perizomi, tatuaggi eccessivi e occhiali tamarri, sostanzialmente un film in cui adoravo vedere mia sorella a disagio; provando il casino del Pearl Club e dell’after party all’Angels, una chiesa sconsacrata in stile cicladico in cui si aspetta il sorgere del sole proseguendo fino alle 9 del mattino; imparando come cuocere la melanzana per la melitsanosalata, facendo schizzare la bolletta del gas; andando a scegliere la carne, troppa carne, al kreopoleio del quartiere per grigliare in terrazza fino a tarda notte, terminando la cena alle 4 del mattino, parlando con Kostas, Giorgos e Lisa del senso della parola filotimo. Adoro quando ai greci esce quel senso orientale di malinconia, nostalgia, dalkas, che si contrappone seppure convivendo con gli altri concetti di meraki e kefi. Adoro anche che per loro esistano tutte queste parole dense di significato e intraducibili in italiano. E che vogliano provare a coinvolgerci in esperienze di cui non capiamo il senso, tipo il dispendioso lancio di vassoi di fiori ai bouzoukia, dove si canta, di beve e si sta tutti assieme a tempo indefinito. Ho provato anche questo con lui a Salonicco in svariati giorni infrasettimanali, è forse l’unico che riesce a farmi abiurare al mio strenuo senso del dovere. Perché pur non approvando quasi nulla di quello che Kostas fa, non riesco a resistere all’incredibile senso di libertà che riusciamo a infonderci a vicenda. Ed è la stessa dinamica che mi accade quando sono a Salonicco, la più bastarda, indolente ed eccitante città della Grecia. Non riesco neanche ad enumerare tutti i ricordi che compongono il mio senso di appartenenza verso questa città, questo paese, questo popolo. Ma qualcuno mi ricorda che c’è tempo..

“Don’t drink in a rush, that’s Greek coffee! Not espresso. You are in Greece, we never run ”. Il cameriere mi ricorda di fare attenzione ai fondi dell’elliniko kafe, mentre sto saldando il logarismόs.
“Don’t worry, we are not very nice runners in Italy, either”
Sorride e dice “Goodnight, lovely koritsi”.
Μέχρι την επόμενη φορά, Θεσσαλονίκη!

