Pasquadan ed elezioni nell’Egeo turco

“Zona interdetta al commercio di alcolici”

Sono al supermercato Macrocenter di Cesme, costa turca. Sono finita ad analizzare lo scaffale dei rinomati carciofi (enginarlar) di Urla, quando in realtà cercavo una bottiglia di rosso locale. Mi trovo nel paradiso dei vitigni turchi, poco distante dall’Egeo, e oggi, 31 marzo 2024, non ho potuto svolgere un’ambita degustazione in un’enoteca in collina, né tantomeno acquistare un goccio di vino al supermercato. Perché? Oggi si vota all’ultimo sangue per le elezioni municipali, è un momento obbligatoriamente alcol free.

La primavera mediterranea si schiude nel rito quasi-orgiastico della kahvalti al The Stay Hotel di Cesme, una degustazione agro-dolce di verdure di stagione addolcita dal velluto del kaymak al tahin. Ieri sera ero a cena all’Od Urla, un’oasi di ristorazione immersa in un alveare di ulivi, un inno al Turkaegean. Sono nella terra in cui la penisola anatolica si fa più mediterranea, tra il santuario di Efeso, la Grotta di Meryam, il villaggio di Şirince, anfratto collinare in cui più di qualche turco investe poiché un’antica leggenda promette la salvazione a chi teme l’imminente fine del mondo.

Pasquadan ed elezioni nell’Egeo turco

La zona tra la cittadina di Urla e Izmir era un tempo fertile terreno commerciale per gli armatori e fanarioti greci, che conducevano i loro fruttuosi affari tra le isole dell’Egeo Nord-Orientale (Chios, Lesbos, Samos..) e i luminosi lidi ottomani. Dal porto cosmopolita di Smirne venivano esportati verso occidente cotone, tabacco, uva, fichi, rendendo l’antica città un carrefour di confessioni, lingue, etnie, non per questo era chiamata la città gâvur (infedele). L’evoluzione commerciale di questa legacy è la Arkas holding, autorità locale nata ad inizio Novecento e confluita negli anni Sessanta nella Lucien Arkas Ferry Agency, pioniera in Turchia dei servizi di trasporto livello internazionale.

Pasquadan ed elezioni nell’Egeo turco

Oggi la holding riunisce sotto il suo ombrello circa 66 aziende operanti anche nel comparto dell’energia, food&beverage, sport, costruzioni e automobilistica. Lucien Arkas è un vero signorotto del posto che rappresenta simbolicamente l’eredità di una terra un tempo multiculturale, poi contesa e infine divisa tra le popolazioni che per cinquecento anni avevano convissuto sotto l’amministrazione ottomana. Le case signorili di Urla e Bornova (Izmir), l’Arkas Art Center (sito nel Consolato onorario di Francia), sono il lascito di un passato fiorente, che ricorda in parte gli antichi inquilini che sfollarono in Grecia dopo l’incendio di Smirne e lo scambio di popolazioni sancito dal Trattato di Losanna (1923). Nonostante le fiamme abbiano rimosso una parte significativa della città, sono giunta a Smirne per conoscere lo spirito odierno della città più laica e libera della Turchia.

“E’ qui che incontri le ragazze migliori della Turchia, lo sanno tutti, Claudia”, mi dice il caro amico B, stambuliota. Mi suggerisce di ascoltare il testo della canzone İzmir’in Kızları di Sezen Aksu. Credo di intravedere le giovani interpreti di questo testo la sera che arrivo a Izmir e passeggio per la strada principale di Alsancak, durante le celebrazioni cristiane di Pasqua e del mese di Ramadan, il Pasquadan! Le ragazze ancheggiano con quelle gonne corte e gli outfit scintillanti di cui parla la cantante, pochi locali si affollano per l’iftar e sembra che a pochi importi di consumare alcol o meno nel sacro mese della purificazione islamica. La storica meyhane di pesce Klüp Ali non esita a somministrare fiumi di raki agli avventori del locale dove scegliamo di cenare, un caratteristico mix di ritratti di Ataturk e reti unificate sul match di volley Fenerbahce – Vakifbank.

Il tipico dolce bombaci è metafora del fascino di Izmir: una passabile apparenza estetica pronta a scoppiare nello scioglievole e incandescente ripieno (il mio preferito è sempre al cioccolato). Scorro i titoli del quotidiano locale davanti a un gevrek e a un kumru appena sfornati al Zeynel Ergin Firini. A ridosso del voto, Izmir si conferma roccaforte del CHP (Cumhuriyet Halk Partisi), il partito repubblicano erede del kemalismo e custode del secolarismo e fervente business locale. Credo però che dietro il velo di maya dei liberal turchi affacciati al Mediterraneo si celi più complessità.

Ci rifletto al caratteristico Gul Kebap, gustando un burrosissimo Iskender nel bazar di Kemeralti. Ci arrivo dopo una lunga passeggiata nel quartiere siriano e nell’antica agorà romana. Kemeralti è uno dei più grandi e antichi bazar a cielo aperto della Turchia. Questo labirinto di strade e vicoli, sviluppatosi a partire dal XVII secolo, si estende fino al quartiere storico ebraico di Havra Sokağı. Pur non essendo più multiculturale come ad un tempo, ad Izmir vivono giustapposti gli enclave secolari degli ortodossi, dei levantini e degli ebrei. Eredi degli antichi commercianti e ambasciatori delle repubbliche marinare italiane, i levantini, cattolici che normalmente si esprimono in inglese o francese e facenti capo alla Chiesa dello Spirito Santo di Istanbul, sono una comunità che si è sempre trovata a proprio agio in molte culture, pur non riconoscendosi appartenenti ad alcuna di essa. Storicamente situati nel quartiere di Pera a Istanbul, dove l’odierno Circolo di Roma dei levantini è tutt’ora situato, a Izmir i levantini frequentano la chiesa di San Policarpo, si appoggiano alla comunità imprenditoriale e culturale di Casa Italia e si istruiscono in scuole a loro dedicate. Durante la messa liturgica faticano ancora ad accettare la predicazione in lingua turca, temendo di perdere la propria identità culturale. La grande sfida è oggi dunque garantire il passaggio intergenerazionale della fede ai figli nati in Turchia, che parlano turco e si integrano nella società turca, e rischiano di sentire uno iato tra la lingua della loro religione e quella della quotidianità.

Invece, se alla fine del periodo ottomano gli ebrei costituivano circa il 10% della popolazione smirneica, oggi sono poco più di un migliaio. Giunti a Smirne nel XVI secolo dalla penisola iberica, gli ebrei sefarditi costruirono i loro luoghi di culto nella cosiddetta via delle sinagoghe, la Havra Sokagi, dove spunta anche la statua dedicata al cantante ebreo-italiano Dario Moreno. Il luogo simbolo di questa zona del quartiere Karatas è l’Asansor, una magnifica struttura architettonica costruita dall’imprenditore ebreo Nesim Levi per collegare Mithatpasa (al livello del mare) con Halil Rifat Pasa (in cima alla collina), evitando alla cittadinanza di scalare i 150 gradini della scala alternativa. La vista del golfo dalla terrazza dell’Asansor è impareggiabile, accoglie i buontemponi di Izmir durante dal mattino a sera, accarezzando gli aperitivi delle chiacchierone signore smirneiche al tramonto sull’Egeo.

In lontananza, sul Golfo, sta il LANDCOM, l’Allied Land Command della Nato, figlio del LANDSOUTHEAST fondato dal Consiglio Atlantico nel 1952. Guidato dal Generale americano Christopher Donahue, protagonista di molte missioni tra cui Iraqi Freedom e Enduring Freedom (Afghanistan), oggi il Landcom esiste per assicurare l’interoperabilità delle forze terrestri della Nato e per fornire il comando complesso di eventuali operazioni terrestri su larga scala, dipendendo funzionalmente dal’Allied Joint Force Command di Napoli e Naples e Allied Joint Force Command di Brunssum. Trattasi dunque di una base di massima importanza, necessaria a garantire il pronto intervento in Eurasia e nelle vicine zone della Mesopotamia turca e nelle polveriere del Levante. Niente male che una base Nato si posizioni proprio alla frontiera di questi grandi teatri geopolitici, in cui la Turchia, che vanta il secondo posto come contingente militare all’interno dell’alleanza atlantica, presenta notevoli conflitti d’interesse. Inutile trascurare le velleità turche nelle dirimpettaie isole dell’Egeo, meglio sintetizzate dall’ammiraglio turco Cem Gurdeniz nella sua nota teoria della Patria Blu (“Mavi Vatan”), in cui descrive la necessità di sbocco marittimo del nuovo impero turco. Tantomeno si può ignorare l’interesse strategico e securitario turco nell’oriente vicino in Siria, in cui il controllo del territorio curdo del Rojava coincide sia con il progetto di costruzione della nuova via del Cotone che con il tentativo di risolvere la cruciale questione interna del terrorismo di matrice PKK.

In tutto ciò, che fa l’apparentemente placida Izmir?

Sono sul rooftop notturno del suo Swisshotel e mi sto godendo il risultato delle elezioni, con una camomilla, certo, non con un calice di vino di Urla. Il CHP ha vinto 35 delle 81 province con un’affluenza complessiva del 78%, espugnando molte roccaforti AKP del Presidente Erdogan, riuscendo ad ottenere la vittoria in tutte le cinque più grandi città del paese (Istanbul, Ankara, Izmir, Bursa ed Adana). Ad Istanbul Ekrem Imamoğlu è stato riconfermato sindaco con un margine di oltre il 10% e più di 1 milione di voti di scarto rispetto all’avversario, l’ex-ministro della pianificazione urbana Murat Kurum. Mi chiedo, dovrà pagare questo prezzo..?

In città impazzano i festeggiamenti, sembra che la Turchia questa sera abbia vinto il campionato del mondo. Io credo sia solo l’inizio.

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