Samarcanda – ch.II

Il mio percorso continua e mi imbatto nella moschea di Bibi- Khanym, uno dei gioielli architettonici commissionati da Tamerlano e finanziati probabilmente con i proventi dell’invasione in India. A seguito delle razzie mongole di Gengis Khan, Tamerlano volle donare sfavillante splendore al suo crescente impero con opere imponenti, a simboleggiare la vastità confini e la solidità del suo potere. Pare che proprio grazie alla sua pressione militare gli ottomani abbiano ritardato la presa di Costantinopoli di quasi cento anni. C’è un aneddoto curioso riguardo a questa moschea, perché pare che fu la bellissima moglie cinese di Tamerlano a ordinarne la costruzione in sua assenza, così da sorprendere il marito. Accidentalmente, l’architetto incaricato si innamorò di lei, e Tamerlano, al suo rientro, lo fece presto giustiziare, imponendo a tutte le donne di portare il velo, affinché gli uomini non potessero cadere in tentazione. Anche i grandi leader fanno i conti con i più banali sentimenti umani..

Samarcanda – ch.II

Shah – i – Zinda

A dire il vero, il monumento più impressionante e singolare è lo Shah-i-Zinda. Ci arrivo dopo aver visitato il mercato centrale di Samarcanda, exploit di noci, noccioline, halva, loukoum, meloni, enormi meloni! E’ il frutto nazionale, e dolcissimo come in nessun altro dove.

Samarcanda – ch.II

Attraversata la carreggiata, si intraprende questa strada in salita contornata di mausolei, una necropoli di incredibile fattura artigiana. La lavorazione di turchesi piastrelle, terrecotte e maioliche di rivestimento sono di una ricchezza inestimabile, a dire di tutto il mondo musulmano. Il complesso delle “tombe dei re viventi” consiste in un gruppo di quieti e ieratici sepolcri, uno trai quali dovrebbe ospitare un cugino di Maometto, Qusam ibn-Abbas, colui che pare abbia diffuso l’Islam in quest’area nel VII secolo. I restanti sepolcri del santuario custodiscono i corpi di alcuni parenti di Tamerlano e Ulugbek. E’ un luogo indimenticabile, silenzioso, spirituale, in cui è possibile riconnettersi con una dimensione più ascetica. Al termine di quest’esperienza, si giunge al cimitero di Samarcanda, un parco affascinante in cui incamminarsi.. spuntano sulle lapidi fotogrammi del secolo scorso che mi danno l’idea di come apparissero gli uzbeki che furono.

Samarcanda – ch.II

Inizio a intraprendere la strada del ritorno, per cambiare strada mi inerpico nella città vecchia. Le strade sono deserte, sembra si chiudano tutti in casa, non vola una mosca, provo un po’ di paura. Assomiglia alla vecchia città di Tashkent e Podgorica, in quanto le case si sviluppano tutte all’interno, con una serie di stanze aggettanti su un cortile, dove le numerose famiglie si riuniscono accomodandosi sugli stessi grandi letti e tappeti visti poc’anzi nel Registan, sembra la casa di Fa Mulan nel cartone Disney. Finalmente vedo qualche abitante in strada, dei sorridenti venditori di meloni e anguria. Un anziano signore mi invita a visitare il suo cortile, dove sono ammassate una serie di deliziose chincaglierie (bicchieri, piatti, busti di Lenin e altri leader sovietici, tappeti). Infine incontro una dolce signora che sta stendendo i panni, in russo mi chiede da dove vengo, lasciando intravedere la sua dentatura complicata, poverina. Mi chiede se l’Italia è proprio così bella come dicono. A questo punto le chiedo dove si trova la famosa sinagoga di Samarcanda, mi pare di aver letto in passato che sia ancora funzionante.

Qualche metro più avanti la Sinagoga è otkryta (aperta), ci scorgo pure un rabbino all’interno. Fu fondata dal Rabbino Nosi nel 1891, dice la targa che raffigura la sua facciona barbuta con l’occhio a mezz’asta. Le pareti sono tappezzate di foto di rabbini del passato, pare che a Samarcanda vi sia ancora una comunità ebraica di circa venti famiglie. Durante l’Unione Sovietica la maggior parte degli ebrei sovietici a cui l’OVIR consentiva di emigrare in Israele, provenivano proprio da Samarcanda e Buchara, oltre che dal Caucaso e dal resto dell’Asia Centrale. A differenza degli ebrei di Mosca, Leningrado, Kiev, a cui veniva rifiutato il diritto di partire (perciò detti refuseniks), in quanto ritenuti lavoratori troppo qualificati e strategici, il Cremlino accettava di lasciare fuoriuscire questi altri ebrei, per placare la propaganda antisovietica dell’Occidente circa la negata libertà di movimento. Fun fact, ricordo che quando atterrai a Tel Aviv nel 2017, parlai in russo con il primo tassista che mi portò in albergo, era un uzbeko di Samarcanda.

Samarcanda – ch.II

Finita una scorpacciata di melone dolcissimo, viene a prendermi il simpatico autista. Abbiamo poco tempo e devo ancora vedere una caffetteria che mi interessa, prima di acchiappare il treno di ritorno. Siamo imbottigliati nel traffico, e mi racconta della sua vita da quando è tornato in Uzbekistan. Si è sposato, sembra contento a riguardo. Imparo un paio di cose su come funzionano i matrimoni qui: sostanzialmente gli uomini devono indebitarsi fino al collo per potersi permettere una moglie, alcuni acquistano diamanti, altri si sbizzarriscono con chissà che altri beni di lusso per dimostrare di poter provvedere alla futura sposa, non che lei sia esente da una doverosa dote. Il fatto è che ora la società sta cambiando anche in Uzbekistan. Sebbene ci si sposi ancora molto presto, sempre più le donne iniziano a lavorare, i meccanismi famigliari iniziano a scricchiolare, le dinamiche vetuste diventano superate. Così ci si indebita per divorziare poco dopo, innescando uno strano circolo vizioso, tra tradizionalismo islamico e ateismo postsovietico. Pur affacciandosi alla globalizzazione, gli uzbeki tentano di recuperare la propria identità dopo anni di comunismo. Molti di loro ci tengono a precisare che quei settant’anni di regime hanno fagocitato la cultura locale e dicono di essere stanchi delle interferenze russe. Anche se sembra un cordone ombelicale difficile da recidere. Oggi l’Uzbekistan, prosciugato del suo lago d’Aral, vorrebbe approvvigionarsi delle acque del Volga, con entusiasmo russo, una win win situation. Allargamento della sfera di influenza politica in cambio d’acqua. E seppur bramosi di indipendenza, la maggior parte di loro crede ancora nel mito dell’uomo forte, in tanti parteggiano per Putin, a scapito di quell’”attore di Zelensky manovrato dai poteri forti”. Ma sembra quasi che per la politica non ci sia chissà che passione, e che sopravviva un certo atteggiamento introverso in materia, forse un retaggio, un’abitudine mutuata dai precedenti regimi oppressivi.

Il Mausoleo di Tamerlano

Prima di salutarmi in stazione, il mio autista vuole mostrarmi il luogo che più inorgoglisce gli abitanti di Samarcanda, la tomba di Tamerlano. Ne vale la pena. Il grande conquistatore mongolo era di Shakrisabz, ma fu sepolto in questo mausoleo assieme ai suoi figli, il nipote UlugBeg e Muhammad Sultan. Onora anche Mir Sayyid Baraka, maestro di Tamerlano. Esternamente l’edificio non sembra così impattante, pare infatti che Tamerlano non dovesse essere sepolto qui, e vi finì invece per via della sua improvvisa morte per pneumonia in Kazakistan, all’epoca questo era l’unico edificio già predisposto. Ma..è solo quando varco il portale monumentale che mi immergo nel silenzio assoluto ed ossequioso del mausoleo, i cui interni sono impreziositi da profonde nicchie decorate a muqarnas, intonaci e altorilievi dipinti o rivestiti d’oro. L’oro è prevalente, mai esagerato, avvolge il visitatore con un forte senso di regalità e solenne grandezza. Chiunque tenti di violarla, potrebbe essere punito, sulla tomba di Tamerlano si legge un’iscrizione: Chiunque violi la mia quiete in questa vita o nell’altra, sarà soggetto a inevitabili punizioni e miseria. Quando l’antropologo sovietico Mikhail Gerasimov lesse queste parole, il giorno seguente, il 22 giugno 1941, Hitler invase l’Unione Sovietica.. tutto il resto è storia. In ogni caso, lo studioso aprì le cripte, e riuscì a misurare ben 170 cm di altezza di Tamerlano, una sorte di gigante per l’epoca, seppur claudicante. Ulug Beg, invece, secondo i suoi studi, venne decapitato. Chissà se e quali segreti costituiscono questi sepolcri..

Samarcanda – ch.II

Stazione dei treni di Samarcanda

“Beh..è stato un piacere, amico. Ti saluto l’Europa. Удачи! (buona fortuna)” “удачи! Always.. keep your light.” Ci siamo salutati così.

Più tardi, al binario, mi aspetta Vladimir. “Toh! Lo zar dell’Uzbekistan!” Gli dico. “Sono venuto in stazione per provare a reincontrarti”. “Oddio”, penso tra me e me. “Che treno hai?” “Quello delle 17.53, devo essere per cena a Tashkent con dei clienti”. “Oh no, io sono solo riuscito a comprare il biglietto per il treno dopo, il tuo era pieno, come rimaniamo in contatto?”. Alla fine quella faccia solare mi faceva simpatia, gli ho lasciato il mio whatsapp, cosa sarebbe mai potuto succedere. “Beh..è stato un piacere, spero che un giorno italiani e russi torneranno a chiacchierare spensierati e sorridenti, come è successo a me e a te, in una città sperduta nella steppa. Dì a Mosca che prima o poi la visiterò”. “Certo, sarai sempre la benvenuta. W Milano, w il Milan, W Berlusconi!”.

In treno mi capita uno di quei posti che ti spiaccicano vicino al finestrino, quelle situazioni che si creano quando al posto accanto c’è una madre con neonato a carico. Ma era così buono..aveva questo visino con la pelle morbida, gli occhi allungati, i capelli nerissimi e soffici. Di fronte a me c’è una coppia francese, padre e figlio, stanno commentando la giornata straordinaria che hanno vissuto a Samarcanda. Nel resto del vagone solo uzbeki, che hanno pure il brik di te’ da asporto, come se non bastasse quello del servizio bar. La luce del giorno se ne sta andando e non c’è momento migliore di abbandonarsi alla steppa, gialla, ocra, tenue, uniforme..così piatta da suscitare i pensieri più aggrovigliati, quasi quello spazio sconfinato stesse aspettando di essere riempito dai miei contenuti, i miei pensieri.

D’un tratto, ricevo un messaggio di Vladimir. La sua foto whatsapp raffigura il suo faccione barbuto, occhietti azzurri piccolissimi, e in mano delle fette di salame con scritto “aromatniy”(aromatiche). “Quel fisico impazzito..” penso. Con ulteriori ricerche avrei poi scoperto essere un campione delle olimpiadi della fisica russe, un cervello della Moscow Institute of Physics and Technology. Costui mi manda una canzone, la versione di “La Maritza” cantata nella miniserie russa di Isaev di Sergey Ursulyak, e a margine scrive

“Скоро улетаю в Москву,

Рад был!

Где-нибудь, Когда-нибудь”.

“Presto partirò per Mosca,

è stato bello!

Da qualche parte, in un giorno qualsiasi”.

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